Prima di partire per il Giappone Renzi ha incontrato Antonio Campo Dall'Orto, ex dirigente di La7 e Mtv, renziano della prima ora, ora favorito come direttore generale della Rai. Anche lui potrà prendere oltre 500mila euro perché nella tv pubblica i limiti ai compensi sono durati due giorni: l'azienda li ha introdotti il 18 maggio e il 20 ha emesso titoli di debito quotati e così può approfittare della scappatoia prevista dalla legge sulle società controllate dal Tesoro
Sabato mattina il premier Matteo Renzi ha visto il candidato favorito a guidare la Rai: Antonio Campo Dall’Orto, già a capo di La7 e Mtv, uno dei primi renziani. E in serata ha visto Pier Carlo Padoan, formalmente azionista unico della Rai con il ministero del Tesoro. Domani i nomi della nuova squadra di vertice della tv pubblica dovrebbero essere ufficiali. Quando le trattative sono così avanzate, di solito si comincia a parlare di soldi. Che nel caso della Rai sono un aspetto rilevante della questione: ormai quasi nessuna poltrona pubblica può ancora offrire gli stipendi che promette viale Mazzini. Sia per il presidente che dovrebbe avere un minimo di 100-200mila euro (a salire in base a quante deleghe avrà). Ma soprattutto per il direttore generale, e poi destinato a trasformarsi in amministratore delegato, che è autorizzato a sfondare il tetto in teoria universale che fissa a 240mila euro lordi all’anno la retribuzione massima per i dirigenti pubblici.
La storia di questa eccezionalità è istruttiva. Nel bilancio 2014 della Rai, approvato il 25 maggio scorso dall’assemblea degli azionisti (cioè dal ministero del Tesoro), si legge che “L’art. 13 della Legge n. 89/2014 ha riferito il limite massimo ai compensi degli amministratori con deleghe e alle retribuzioni dei dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni all’importo di 240.000 euro annui”. E la Rai si adegua. Nei gironi successivi il direttore generale Luigi Gubitosi e altri top manager fanno il bel gesto di adeguare al ribasso il proprio compenso. Differenze non di poco conto, visto che il capo azienda ha sempre incassato attorno ai 600mila euro lordi annui, tranne Lorenza Lei che riuscì a trovare il modo di portarlo a 750mila.
Secondo quanto ricostruito da Leandro Palestrini e Aldo Fontanarosa su Repubblica.it il 18 maggio, l’ufficio del personale Rai convoca 42 alti dirigenti “perché firmassero una lettera. C’era scritto che il loro stipendio veniva tagliato a partire da subito. Con la busta paga di maggio, questi dipendenti (Giancarlo Leone, Antonio Marano, Lorenza Lei, tra gli altri) avrebbero ricevuto il corrispettivo mensile di 240 mila euro lordi annui”. Qualcuno prova a obiettare che la Rai è un’azienda normale, anche se controllata dallo Stato, e quindi il tetto non si può applicare. Ma vince la linea dell’austerità. O così sembra.
Perché il bilancio Rai stabilisce anche che l’azienda “potrà procedere all’attuazione dell’iter propedeutico all’emissione in una o più tranches di un prestito obbligazionario non convertibile, fino a un importo massimo di 350 milioni di Euro, destinato a investitori istituzionali, da quotare nei mercati regolamentari”. La parola chiave è “quotare”.
Tutte le norme che si sono succedute dal governo Monti (2011) in poi in materia di tetti agli stipendi pubblici hanno sempre escluso le aziende controllate dallo Stato che emettono titoli di debito quotati. Lo spirito doveva essere che quelle con una struttura finanziaria complessa devono poter assoldare i migliori professionisti sul mercato, che costano. Ma nella pratica l’effetto è che basta fare le giuste scelte finanziarie. Il 20 maggio 2015, due giorni dopo che Gubitosi aveva convocato i dirigenti per tagliare i loro stipendi, l’agenzia Reuters comunica che la Rai ha avviato il collocamento di un bond da 350 milioni. Addio tetto.
La nuova riforma renziana non si pone il problema: si limita a stabilire che “il consiglio di amministrazione, su indicazione dell’assemblea, determina il compenso spettante all’amministratore delegato”. Quindi decide di fatto il governo, senza limiti. Antonio Campo Dall’Orto può sperare di avere anche lui 5-600mila euro come i predecessori.
Il fatto che il governo abbia deciso di procedere con le nomine usando la vecchia legge Gasparri del 2004 invece che aspettare l’approvazione anche alla Camera della riforma apre poi interessanti opportunità per Campo Dall’Orto. Secondo un’usanza inimmaginabile nel settore privato, i direttori generali della Rai si facevano anche assumere a tempo indeterminato. Quando cambiava il partito al potere, venivano accantonati ma non perdevano lo stipendio. La riforma prevede espressamente che non può essere dipendente della Rai: se anche lo fosse al momento della nomina, prima deve dimettersi e poi accettare la carica di amministratore delegato. Ma la riforma, appunto, non vige ancora. Quindi Campo Dall’Orto in teoria può ancora fare in tempo a farsi assumere.
Dal centrodestra c’è chi suggerisce, come alternativa a Capo dall’Orto, il nome di Giancarlo Leone, attuale direttore di Rai1, attivissimo su Twitter. Sarebbe un direttore generale di transizione in attesa dell’approvazione della riforma e non dovrebbe neppure dimettersi finché restano in vigore le vecchie regole. Ma è una soluzione che per Renzi diventerebbe un’ammissione di debolezza. Vedere Campo dall’Orto prima di partire per il Giappone – il premier rientrerà a nomine fatte – è stato un segnale chiaro. E l’ex manager di La7 e Mtv è così consapevole delle proprie possibilità che nei giorni scorsi, come rivelato dal Fatto, si è fatto rilasciare un parere da un importante studio legale romano per essere sicuro che fosse possibile la trasformazione in corsa da direttore generale ad amministratore delegato quando sarà approvata la riforma. Sarebbe spiacevole trovarsi a guidare la Rai solo per pochi mesi e poi dover lasciare il posto a un altro.
Anche se Campo Dall’Orto dunque sembra sicuro, è tutto ancora aperto, bisogna trovare l’incastro tra le varie tessere, a cominciare da quella del presidente (vedi box qui sopra). Questa sera ad Arcore Silvio Berlusconi si consulterà con i suoi sherpa e prenderà le sue decisioni, lunedì si riunisce la commissione di vigilanza che, con la maggioranza dei due terzi, deve approvare l’indicazione del presidente che arriva dal cda ma di fatto dal governo. Chissà se Campo Dall’Orto – o i suoi sfidanti, Andrea Scrosati di Sky e Marinella Soldi di Discovery – appena arrivati a viale Mazzini rimetteranno il tetto agli stipendi, incluso il proprio.
Il passato consiglia scetticismo.
da il Fatto Quotidiano del 2 agosto 2015