Caro Presidente,
ho letto – come ritengo tanti addetti ai lavori e non – il Suo bell’articolo di venerdì scorso, su queste stesse pagine, a proposito della centralità che il diritto d’autore merita, in Italia e in Europa, ai tempi di Internet e del digitale.
In un’epoca storica come la nostra nella quale – come racconta da anni Jeremy Rifkin – essere ricchi significa sempre meno possedere beni materiali e sempre di più poter accedere a servizi e beni immateriali di ogni genere, la proprietà intellettuale rappresenta un irrinunciabile strumento di crescita culturale, democratica ed economica per ogni Paese che voglia giocarsi la sua partita con la storia negli anni che verranno.
L’Italia e l’Europa, naturalmente, non fanno eccezione e se non faranno le scelte giuste nel ridisegnare l’attuale quadro normativo in materia di diritto d’autore, rendendolo moderno, efficiente e al passo con la globalizzazione e la digitalizzazione dei mercati dei contenuti sono, inesorabilmente, condannate a divenire delle colonie altrui ed a veder polverizzato, in una manciata di anni, il loro straordinario capitale culturale e creativo.
Ho detto e scritto, più volte, che i principi alla base della legge sul diritto d’autore sono, a mio avviso, essi stessi, una straordinaria opera d’arte, un esempio senza eguali – almeno nel mondo delle norme – di equilibrio, saggezza e lungimiranza: lo Stato, ergendosi ad arbitro e compositore di contrapposti interessi, garantisce ai titolari dei diritti un’equa remunerazione a fronte del beneficio culturale e creativo da essi posto a disposizione della collettività, in modo da incentivarli a continuare a creare, produrre cultura e condividerla con miliardi di fruitori in tutto il mondo.
Sin qui, pertanto, caro Presidente, le nostre posizioni sono sovrapponibili e coincidenti.
Nel Suo articolo, però, Lei va oltre e prova a legare a doppio filo la centralità del diritto d’autore nell’Italia e nell’Europa di oggi con il destino della Sua Società italiana autori ed editori e, addirittura, con la garanzia di un sempiterno “monopolio” della SIAE nel nostro Paese.
Un doppio salto carpiato concettuale che le consente di scrivere che per garantire un futuro all’Italia e all’Europa creative occorrerebbe “sgomberare il campo da quell’insieme di luoghi comuni che, nell’immaginario collettivo, si associano al diritto d’autore e segnatamente alla sua gestione da parte di società di raccolta e amministrazione come SIAE“ e, poi, di aggiungere che “la demonizzazione del diritto d’autore e delle società deputate alla sua difesa non incentiva, anzi contribuisce a indebolire le industrie creative nazionali ed europee, già messe a dura prova dal momento storico che stiamo attraversando”.
Sono parole che scrive – e scrive adesso – perché il nostro Governo, nei prossimi mesi, recependo la direttiva europea in materia di società di gestione collettiva dei diritti d’autore potrebbe, – come richiestogli da più parti oltre che, forse, dal buon senso – finalmente sgretolare l’ultra secolare esclusiva della SIAE e proporre un modello nuovo, moderno, più efficiente, egualitario ed equilibrato per la gestione, promozione e tutela dei diritti d’autore.
La Sua è, naturalmente, una posizione assolutamente legittima, da buon rappresentante di un monopolista, titolare di uno straordinario privilegio concorrenziale.
Si tratta, però, solo di una Sua posizione, peraltro basata su alcune rilevanti e gravi inesattezze che non voglio pensare siano frutto di malizia o di un maldestro tentativo di influenzare i decisori politici su un tema tanto delicato e complesso.
Mentre, infatti, è vero che il diritto d’autore debba necessariamente essere promosso e tutelato negli anni che verranno, non c’è davvero ragione per ritenere che farlo, abbia per necessario presupposto garantire alla SIAE i privilegi dei quali ha goduto sin qui.
La storia della Sua Società, anzi, forse, suggerisce il contrario come, d’altra parte, riteneva anche Lei, solo una manciata di anni fa, quando scriveva che la SIAE non era nata per garantire i diritti di tutti e minacciava di affidare la gestione del suo ricco portafogli di diritti d’autore a un’altra società di gestione dei diritti europea.
Da allora a oggi – l’ho scritto proprio di recente confrontando i risultati dell’esercizio 2014 con quelli dell’ultimo esercizio precedente al commissariamento che ha dato i natali alla “nuova SIAE” – l’unica cosa che è davvero cambiata nella Società è lo Statuto che ha marginalizzato il peso democratico di decine di migliaia di piccoli e medi autori ed editori ed esaltato quello dei più grandi, consentendo a Lei, oggi, di presiedere la società.
Ma, prima di aggiungere altro, mi sembra opportuno far chiarezza sulla più grave delle inesattezze contenute nel suo pezzo ovvero quella secondo la quale, nonostante sarebbe “opinione diffusa che negli altri Paesi europei il mercato sia liberalizzato e che, di contro, la gestione dei diritti affidata a società di fatto monopolistiche come la SIAE crei inefficienze e limitazioni nell’accesso alla cultura”, ciò non sarebbe vero in quanto “anche negli altri Paesi europei le Società di gestione collettiva del diritto d’autore esercitano un monopolio di fatto”.
E’ un’affermazione ovviamente scorretta, due volte e sotto due distinti profili.
Tanto per cominciare, a un imprenditore e manager arguto e capace come Lei non sfugge certamente che tra un monopolio di fatto e un esclusiva legale, c’è un abisso concettuale e politico: quello “di fatto” è il risultato di un confronto in un mercato libero nel quale un imprenditore prevale sugli altri grazie all’efficienza ed alla qualità dei propri prodotti o servizi, restando, peraltro, in una condizione che può essere messa in discussione, ogni giorno, dallo sbarco sul mercato di un concorrente più capace, quello “legale” – ovvero quello di cui la sua società ritiene di godere – è, al contrario, un privilegio accordato dalla legge, al di fuori delle regole del mercato.
Pertanto, se anche fosse vero, che in tutta Europa il mercato dei diritti d’autore è nelle mani di società che vi operano in regime di “monopolio di fatto”, sarebbe scorretto suggerire che tali situazioni siano paragonabili a quella del nostro Paese.
Ma il punto è un altro.
Come Le è noto, infatti, è semplicemente falso che in tutta Europa l’intermediazione dei diritti sia gestita in regime di monopolio di fatto.
E, confesso, che mi ha sorpreso leggere un’inesattezza di questo genere nel Suo articolo perché, come ricorderà, proprio Lei, solo una manciata di anni fa, sottolineava con energia l’anomalia italiana in fatto di esclusiva della SIAE.
Mi permetta di ricordarLe le Sue parole ai microfoni della giornalista de La Repubblica che Le chiedeva perché, data la Sua insoddisfazione per il funzionamento della SIAE che oggi presiede, non affidasse la tutela dei Suoi diritti ad un’altra società di gestione collettiva: “In teoria non possiamo perché, caso unico al mondo, la legge garantisce alla Siae il monopolio legale sull’intermediazione del diritto d’autore in Italia…E’ chiaro che così non si può andare avanti! Il monopolio di legge ha valore in Italia, ma nessuno può impedire di farci rappresentare da un’altra Società di Collecting europea“.
Difficile resistere alla tentazione di chiedersi se la verità sia quella che raccontava a La Repubblica o quella che è al cuore del Suo articolo, su queste pagine, di venerdì scorso.
E’, naturalmente, una domanda retorica perché anche Lei sa benissimo che la verità è quella che raccontava all’epoca e, per averne un’insuperabile conferma è sufficiente sfogliare l’elenco delle società di gestione collettiva dei diritti d’autore iscritte alla Cisac, Associazione internazionale delle collecting society, cui è iscritta anche la SIAE.
L’elenco in questione racconta che nell’Unione Europea, operano, attualmente, oltre 70 società di gestione dei diritti d’autore. Un po’ troppe per sostenere che in tutta Europa le “sorelle” della SIAE operano in regimi di “monopolio di fatto”.
La realtà – che Lei da imprenditore che opera, con successo, da decenni nel mercato della musica, conosce benissimo – è che, all’estero, il mercato, lasciato libero da inutili legacci e vincoli normativi, ha prodotto una progressiva specializzazione delle società di gestione dei diritti con la conseguenza che, in un certo numero di casi, in effetti, una sola collecting è rimasta ad operare su taluni segmenti di mercato nei quali, evidentemente, è stata capace di imporsi per efficienza e dinamismo.
Ma, forse, il punto non è neppure quello che accade all’estero che, pure, dovrebbe orientare i decisori nazionali nella scelta e nell’eliminazione dell’anomalia tutta italiana.
Il punto sul quale proprio non si può essere concettualmente d’accordo su quello che Lei scrive è che il destino del diritto d’autore in Italia sia legato a doppio filo a quello della SIAE e della sua esclusiva.
Non è così.
Si può garantire il primo anche eliminando o limitando la seconda in modo, tra l’altro, di lasciare autori ed editori davvero liberi di scegliere a chi affidare la gestione dei propri diritti e, con essi, del proprio futuro.
NOTA DI TRASPARENZA: assisto una società inglese concorrente della SIAE. Scrivo a titolo personale e cercando di essere obiettivo ma è bene che il lettore lo sappia.