Se gestissi una libreria, come la Baravaj di Milano, neanche io vorrei Salvini tra i piedi. Non per scortesia, ci mancherebbe, io il Matteo padano neanche lo conosco ma le sue idee e il suo atteggiamento non sarebbero consoni a un tempio di idee, opinioni e progettualità della mia libreria se mai avessi un giorno la fortuna di poterne aprire una. Non lo sarebbero perché Salvini, e la sua curva, non troverebbero nulla per loro; verità assolute, fandonie spacciate per verità, culto della personalità, gogna per gli avversari e caroselli continui di provocazioni sono la quotidianità del messaggio salviniano al mondo. E non hanno nulla a che spartire con la cultura. Allora lo dico, goliardicamente, avrei messo lo stesso cartello: “Io non posso entrare” con foto di Salvini e lo avrei fatto, esattamente come ha fatto Federico Valera, il titolare della libreria, perché in Italia ognuno è libero di sfottere, esprimere dissenso e criticare come crede, chi crede, in base a quello stesso principio che tutela le scemenze quotidiane della rubrica di Salvini su Facebook: “lanciare il sasso e nascondere la mano”. Un esempio tra i tanti?
Salvini, senza rendersene conto (e nessuno si aspetta abbia lo spessore per rendersene conto) ha ammesso di sostenere la ‘profilazione etnica‘, una pratica vietata dalle Convenzioni per i Diritti Umani ma utilizzata in alcuni Paesi del nord Europa. In cosa consiste? Si tratta di una schedatura preventiva basata sull’origine etnica e non sulla fedina penale: sei ‘zingaro’ quindi presunto criminale, almeno fino a prova contraria. Salvini non finirà come imputato presso il ‘tribunale della Verità’ per le sciocchezze che dice mentre la sua curva riempie di ingiurie e minacce chiunque osi obiettare o prendere in giro ‘il capitano’.
No, le schifezze scritte sulla pagina Facebook del libraio milanese non sono legate allo sfottò a Salvini ma alla visione distorta della democrazia di tanti utenti del ‘quinto potere’. Oggi ognuno di noi ha un’opportunità unica, senza precedenti nella storia: la possibilità di farsi ascoltare dal mondo superando i limiti dei vecchi strumenti di partecipazione diretta, una possibilità straordinaria che gli haters rischiano di frantumare sotto il peso dell’odio, delle ingiurie, dei cap locks e delle minacce di cui sono portatori; la violenza verbale su internet sembra ormai un modus operandi normale della dialettica in bit, un modus operandi che leader o aspiranti leader strumentalizzano soffiando sul fuoco del malcontento e sfruttando l’analfabetismo funzionale che colpisce molti utenti della rete. D’altronde, viene da pensare, se l’ascia agitata contro ogni opinione contraria sul Web avesse un corrispettivo nella realtà, provate ad immaginare come andrebbe a finire: sarebbe un caos da guerra civile. Anonimato ed ingiurie offrono ad una fetta della platea internautica, quella passivo-aggressiva, uno sfogatoio che inizia e finisce tra i quattro lati dello schermo; poco di cui preoccuparsi, probabilmente, ma siamo fatti di carne e gli insulti, anonimi, reiterati e gratuiti, fanno male anche a chi come il sottoscritto, ha sviluppato una discreta scorza. I miei peccati capitali, ad esempio? Scrivere pezzi ed opinioni per una politica ragionevole sui migranti e soprattutto, scrivere opinioni diametralmente opposte agli slogan di Salvini. Vi offro un assaggio dei messaggi che ricevo:
Dov’è la dialettica? Vi risparmio i commenti ai post: storpiature al nome, auguri di disgrazie, saluti a madre, moglie, sorella sono pane quotidiano, alla lunga piuttosto indigesto. Ormai non ci faccio più caso e forse è proprio questo il problema: abituarsi, derubricare le porcherie spacciate per libertà d’espressione ad atteggiamenti idioti da ignorare. Certo che sono atteggiamenti idioti, su questo non ci piove, ma quando c’è un politico che li aizza, li fomenta e plaude alla sparata più grossa non siamo più solo in presenza dell’anonimo imbecille di turno ma di un vero e proprio salto di qualità: abbiamo un rappresentante istituzionale che forte della sua esposizione (in questo caso sovraesposizione) strumentalizza irresponsabilmente il linguaggio grandguignolesco dei suoi adepti per incrementare il consenso.
Salvini non solo non condanna dalla sua pagina Facebook i linciaggi sul web ma spesso li incita, come nel caso del libraio milanese, e da questo clima cupo finisce per guadagnare traffico, “like” sul profilo e altra attenzione mediatica, in un vortice senza fine. E grottescamente, proprio quella tutela della libertà d’espressione alla quale dovrebbe “fare un monumento” perché gli garantisce di poter esprimere le sue strambe tesi, diventa nemico numero uno suo e della curva. Dobbiamo cominciare a prendere queste cose seriamente: “potevi pensarci prima” oppure “la prossima volta stai al posto tuo”, all’indirizzo del libraio milanese non sono bambinate ma minacce. Un buon inizio è chiamare le cose con il loro nome. E come diamo peso ai deliri sui forum jihadisti, dove ormai basta un “Allahu Akhbar” scritto da un adolescente per far scattare in Occidente l’emergenza attentati, dovremmo cominciare a prendere sul serio anche il “guardati le spalle” all’indirizzo di chi ha osato sfottere Salvini.