Con un tweet, Roberto Saviano, dichiara: “Mi addolora che raccontare la tragica situazione del Sud Italia sia così facilmente definito “piagnisteo”.
Mi addolora che raccontare la tragica situazione del Sud Italia sia così facilmente definito “piagnisteo”. pic.twitter.com/0OKJYf1hdX
— Roberto Saviano (@robertosaviano) 3 Agosto 2015
In una recente lettera al premier Renzi, Roberto Saviano parlava, in effetti, del Sud, alla luce delle prime anticipazioni del Rapporto Svimez 2015, più allarmanti del solito, soprattutto per aver proposto un azzeccato confronto tra Sud Italia e Grecia, che vede la nazione ellenica crescere il doppio del Mezzogiorno d’Italia.
Parlava di decremento della natalità, perché “un figlio è diventato un lusso” e aumento dell’emigrazione, soprattutto quella di laureati e di persone altamente qualificate. “potrei dirle che agire domani sarebbe già tardi: ma sarebbe inutile retorica”.
Arrivava a dire Saviano che “le istituzioni italiane devono infatti chiedere scusa a quei milioni di persone che sono state considerate una palla al piede e, allo stesso tempo, sfruttati come un serbatoio di energie da svuotare”. Perché, “nel frattempo, la retorica del Paese più bello del mondo ha ridotto il Mezzogiorno a una spiaggia sulla quale cuocere al sole di agosto: per poi scappar via”.
Avevo accolto la lettera con entusiasmo, perché sono convintissimo del fatto che l’apertura di un dibattito plurale sul Sud non possa che giovare.
Nei giorni scorsi, anche Maurizio Patriciello aveva fatto interessanti riflessioni: “Di certo al nostro Meridione, in questo secolo e mezzo che lo vede unito al resto della Penisola in una unica Italia, non sono state date le stesse opportunità di sviluppo che sono state concesse alle regioni del Nord. […] La lotta alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta è destinata a fallire miseramente se non c’è la volontà di togliere ai criminali la possibilità di dare lavoro e sostentamento a chi muore di fame. Non è un segreto per nessuno che i criminali occupano tutti gli spazi lasciati liberi da uno Stato assente o latitante. È finito il tempo di accusare di omertà o collusione chi, dopo aver cercato invano, per mesi e anni di vivere onestamente, si ritrova a fare scelte scellerate per dar da mangiare ai figli”.
Un altro piagnone? Ma sì, appena si provi a descrivere la reale situazione del Sud, con i fallimenti drammatici che i governi nazionali hanno sgranato come un’infinita corona di rosario dai tempi della destra storica sino all’attualità ci si trova addosso la gragnuola di offese, puntate come contraerea per buttarla in caciara e riprendere tutto come prima.
Dare ai “talenti la possibilità di realizzarsi” è un nobile intento, come dice Saviano. Peccato che emerga chiaramente che gli atenei del Sud siano stati oggetto di una sistematica riduzione dei fondi: -18% al Sud e -7,1% al Nord, come si legge in questi giorni (periodo 2008-2015).
E non occorre andar troppo indietro negli anni per ricordare che a febbraio 2015 son stati chiesti 2,4 miliardi all’UE per infrastrutture per 71 progetti. Di cui solo 2 al Sud. Mentre a novembre 2014 3,5 miliardi di fondi FAS sono stati tolti al Sud per essere dirottati sugli sgravi fiscali. E solo a ottobre 2014, un mese prima venivano investiti 4,8 miliardi nelle ferrovie del Centro-Nord e 60 milioni al Sud. Mi sento assai poco piagnone nel commentare certi dati, oggi ripresi da molti organi di stampa e partiti. Meno male.
Ma la storia insegna. E, talora, consola. Mi è capitata tra le mani la trascrizione del dibattito parlamentare sulla legge sulle associazioni segrete, in cui Antonio Gramsci, il 16 maggio 1925, parlava dei problemi nazionali con una lucidità che manca a molti suoi epigoni.
Cito un passaggio in cui parla della situazione prima della Grande Guerra, confrontandola con l’attualità [1925]. Cito testualmente: “Le debolezze massime della vita nazionale erano in primo luogo la mancanza di materie prime. […] Terzo la questione meridionale, cioè la questione dei contadini , legata strettamente al problema dell’emigrazione”. Gramsci comprendeva come l’impoverimento sociale derivante dall’emigrazione in massa dei lavoratori danneggiasse ulteriormente il territorio del Sud del paese. Figuriamoci oggi, che emigrano persino i laureati, dopo anni di investimenti in formazione.
Il discorso subisce diverse interruzioni e contestazioni quando l’intellettuale sardo dichiara: “In Italia il capitalismo si è potuto sviluppare in quanto lo Stato ha premuto sulle popolazioni contadine, specialmente nel Sud. Dovreste restituire al Mezzogiorno le centinaia di milioni di imposte che ogni anno estorcete alla popolazione meridionale“. Poi, dopo un’interruzione irridente dell’on. Benito Mussolini, così riprende: “si tratta del fatto che ogni anno lo Stato estorce alle regioni meridionali una somma di imposte che non restituisce in nessun modo”. Non c’erano i piani Svimez a fare da vox clamantis in deserto sul divario Nord-Sud. Ma c’erano, in tutta evidenza, cervelli pensanti.
Infatti, quando una voce si leva dall’aula: “Lei non conosce il Meridione“, Gramsci risponde: “Io sono meridionale!“
E quando viene fatto rilevare, ad Antonio Gramsci, che certi concetti erano stati ripetuti più volte, egli chiude il discorso con una frase che deve suonare, oggi più che mai, come un monito di resistenza civile per coloro che credono nella forza persuasiva del dialogo e delle parole libere: “Bisogna ripeterle, invece, bisogna che lo sentiate fino alla nausea“.