Una cura che rischia di essere peggiore della malattia. Che “contraddice lo spirito della nostra Costituzione”. Lo dice senza mezzi termini il presidente della Giunta delle immunità del Senato Dario Stefàno. Replicando alla proposta del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, di affidare ad un organo terzo, “estremamente autorevole”, come la Corte Costituzionale le decisioni sulle richieste di arresto emesse dalla magistratura nei confronti dei parlamentari sulla scia del caso Azzollini.
Presidente Stefàno, condivide l’impostazione del Guardasigilli?
Assolutamente no, perché contraddice lo spirito della nostra Costituzione in tema di tutela della funzione parlamentare e, più in generale, di autonomia dei poteri. La soluzione proposta da Orlando finirebbe per essere un rimedio peggiore del male. Non esagero, infatti, se affermo che rischierebbe di essere addirittura peggiore della tradizionale autorizzazione parlamentare a procedere sugli atti restrittivi, in quanto da un lato permarrebbe la sottrazione dei poteri all’autorità giudiziaria – e quindi rimarrebbe la deroga al principio di uguaglianza – e dall’altro inquinerebbe l’attività del supremo organo di garanzia del nostro ordinamento costituzionale, che verrebbe gettato nell’agone politico. Per dare un’idea di questo scenario, sarebbe sufficiente immaginare se, ad esempio, la Consulta fosse stata chiamata a decidere sulle più recenti richieste di custodia cautelare a carico di parlamentari che sostengono il governo.
Vista però la larga maggioranza dei casi in cui il Parlamento, storicamente, ha respinto le richieste della magistratura, non crede che lasciare la decisione in mano alle Camere presti il fianco all’accusa di autodifesa da parte della casta?
L’accusa di autodifesa è agevolmente fronteggiabile senza fare ricorso a frettolose formule di ingegneria istituzionale, ovvero prevedendo inattuabili figure di terzietà che aprirebbero al rischio di uno smantellamento complessivo della nostra impalcatura costituzionale. Del resto il nostro sistema sovente ricorre a forme di giustizia interna, a salvaguardia del principio di autonomia: vale per Parlamento ma vale anche per il Csm e per tutte le fattispecie di giurisdizione domestica.
Non mancano poi i casi in cui il via libera alla misura cautelare che arriva dalla Giunta, in seno alla quale viene svolto un esame accurato delle carte processuali, finisca per essere capovolto dal voto dell’Aula come accaduto ad esempio nella vicenda relativa al senatore Azzollini. Non ritiene che episodi come questo contribuiscano a venir meno della fiducia dei cittadini nelle istituzioni parlamentari?
Può accadere che l’Aula si esprima in senso diverso ma questo conferma l’autonomia di cui gode l’organo di garanzia che realizza valutazioni molto più concentrate sull’analisi approfondita degli atti. Il diverso avviso dell’aula rispetto alla giunta forse però, spesso, scaturisce anche dalla diversa modalità di voto poiché in Giunta si vota necessariamente a scrutinio palese, in Assemblea può essere richiesto il voto segreto che apre, in maniera imprevedibile, a esiti diversi poiché si conforta di valutazioni eterogenee.
Concludendo, il sistema va bene così com’è o necessita comunque di una riforma a prescindere da quella suggerita dal ministro della Giustizia?
Continuo a ritenere che la soluzione non sia nelle previsione di un organo terzo ma nella individuazione di parametri oggettivi e verificabili che guidino il corretto esercizio della discrezionalità decisoria, prevenendo rischi di arbitrarietà. Da qui la mia proposta al Presidente Grasso per una giornata di studio e approfondimento sul cosiddetto fumus persecutionis. E del resto anche a voler, sia pure e solo per astratto, immaginare un organo terzo, come propone Orlando, anche per esso si porrebbe il medesimo problema di definire i parametri attraverso i quali formulare il giudizio, per evitare che si configuri come una sorta di ulteriore riesame dei provvedimenti della magistratura.