Dai tempi di Celentano è un binomio che qui non porta bene. Cemento e bambini, a Milano. Proprio il progetto di un polo pediatrico-infantile nel capoluogo lombardo finisce al centro della resa dei conti che sta dilaniando la maggioranza di Roberto Maroni. Il governatore leghista era convinto di avere nel taschino la riforma della sanità, di gran lunga l’atto più importante della sua legislatura che il 5 agosto – con ogni probabilità – sarà alla prova dell’aula con una seduta fiume convocata dalle 11 a mezzanotte. L’ottimismo sbatte poi su un tassello, il progetto di un grande polo dedicato alla salute dei più piccoli. Due le ipotesi sul tavolo. Forza Italia voleva a tutti i costi che nascesse dalla fusione tra Fatebenefratelli, Macedonio Melloni e Buzzi. La Lega seguiva invece il diktat di Salvini che ha dato una sola indicazione: “Il Buzzi deve unirsi al Sacco”. Ieri è arrivato l’accordo last-minute per evitare che la maggioranza andasse in frantumi: il centrodestra proporrà l’accorpamento di Buzzi, Sacco, Fatebenefratelli e Macedonio Melloni. Fuori la storica Mangiagalli in quota Cl, fuori il Niguarda che è feudo intoccabile di Forza Italia. E fuori il Policlinico che è emanazione dell’Università Statale di Milano. Il vero nodo politico però è un altro e poco ha a che vedere con la cura dei bambini.
La riforma in questione, tra le altre cose, prevede l’istituzione di un super-assessorato che dovrà riunire sanità e welfare, senza che ancora sia stata pesata una contropartita adeguata per l’uscita di scena del potente Mario Mantovani, assessore alla Sanità e recordman di voti del partito di Berlusconi. Sul suo tavolo passa ancora il 80% della spesa regionale, Forza Italia non vuol mollare i cordoni della borsa. Il partito però in città vale al massimo il 10% e ormai fatica a tenere la posizione contro le pretese degli alleati leghisti. C’è poi una questione tutta interna alla Lega: Maroni governa col 10% che prese allora con la sua lista, ma Salvini ha portato il Carroccio al 15 facendone il primo partito del centrodestra. Ecco perché il segretario, milanese, pretende di dare le carte da fuori. Il Pd sperava nella spaccatura della giunta, non voterà la riforma per motivi di immagine ma non la ostacolerà più di tanto, avendo ottenuto in ultimo qualche importante concessione sulle nomine dei manager ospedalieri, sul controllo di legalità e sul pagamento del ticket in base al reddito. M5S vota contro. La vicenda si dovrebbe chiudere il 5 agosto. Da questa prova di forza è uscito il binomio irrisolto cemento-bambini che scatena ben altri appetiti.
Per capire questa seconda partita bisogna dare il giusto peso all’elemento più solido (e meno innocente): il cemento. Il risiko degli ospedali, concretamente, parte da una voragine nel cuore della città, al Policlinico di via Francesco Sforza, sede del più antico ospedale di Milano. Chi ci capitasse, oltre a una serie di specializzazioni ormai riconosciute nel mondo, troverebbe anche una spianata di 168 mila metri quadrati. E’ quel che resta dell’abbattimento di quattro padiglioni che dà seguito a un progetto che compie oggi 15 anni: il progetto “Nuovo Policlinico”. Le ruspe sono però ferme da nove mesi. E non è una questione di soldi. Il progetto originario, varato nel 2000, prevedeva un costo di 560 miliardi di lire. Il Policlinico ha conferito a un fondo 105 milioni di euro provenienti dalla vendita del suo patrimonio immobiliare, 35 arrivano dal ministero della Salute, altri 95 dovrebbero arrivare con l’entrata a regime del fondo. Insomma, sui soldi attualizzati in euro ci siamo e pure sul progetto delle due palazzine nuove disegnate dall’architetto Stefano Boeri con lo studio Barreca & La Varra: due building – uno per le medicine, l’altro per mamme e bambini – con un grande giardino sopraelevato.
E perché allora è tutto fermo? Il problema è che la destinazione di quelle aree rimette in gioco l’offerta sanitaria del centro di Milano. Milioni di euro che vanno da una parte all’altra seguendo i pazienti del futuro: i bambini. Giusto non costringerli ad andare al Gaslini di Genova, al Meyer di Firenze o al Bambin Gesù di Roma perché Milano non è in grado di occuparsene. L’idea era buona, l’esecuzione molto meno: dalla firma del piano d’intervento tra i soggetti coinvolti (ministero, comune, regione, ospedale) si sono affastellate più ipotesi e trovare l’accordo oggi sembra impossibile. Appena ha preso piede concretamente l’idea di creare un gigantesco polo materno-infantile è partito in città il gran ballo del mattone ospedaliero.
Si fa avanti l’ospedale Buzzi, in quota Lega Nord, il partito che governa la Lombardia da marzo 2013. Era nato proprio come “ospedale dei bambini” trent’anni fa, quando in Italia non li aveva nessuno. Poi un lungo e inesorabile declino. Incuranti di quanto avveniva al Policlinico, i vertici della Regione sponsorizzano un progetto che permetta di raddoppiare il “loro” centro pediatrico, appendendo al chiodo dei bambini la creazione di 51mila metri cubi di nuovi volumi ospedalieri. Chi mai potrà dire di no? Nessuno, e infatti a Roma il ministero mette prontamente sul tavolo 40 milioni di euro: 33 per il nuovo edificio di cinque piani che sorgerà alle spalle del vecchio ospedale, 7 per gli arredi e le apparecchiature mediche. A marzo viene aggiudicata la gara per lo studio di progettazione (574.778) che va al gruppo Tekne che ha curato molti progetti di riqualificazione edilizia della sanità lombarda, tra i quali il vecchio ospedale di Monza, il nuovo ospedale di Varese, il centro di androterapia S. Matteo di Pavia.
Impossibile, però, che Milano abbia due centri pediatrici. E allora riparte il walzer degli accorpamenti tra strutture, che in qualche caso sembrano logici come tra San Paolo e San Carlo, dove uno è universitario e l’altro no: qui, come altrove, si possono effettivamente accorpare una serie di medicine e chirurgie, uffici tecnici e amministrativi comuni, razionalizzare la spesa con gare maggiori etc. Dove la quadra proprio non si trova è nella partita sui bambini, in predicato di lasciare una voragine nel cuore di Milano (Policlinico) o di veder nascere due poli di eccellenza in capo al pubblico che si fanno concorrenza tra loro. Il buon senso della cosa pubblica e il contenuto scientifico delle possibili soluzioni si scontrano qui con le ragioni della geopolitica. La storica clinica Mangiagalli, per dire, sarebbe fuori. Per dire: medici e ricercatori universitari spingono per l’ipotesi Buzzi-Sacco, per non perdere l’occasione di diventare “universitari”. Si diffondono paure infondate, le mamme milanesi – secondo quanto riferisce il Giornale – non gradirebbero affatto di “avere le stanze dei bimbi a fianco a quelle dedicate all’ebola”. Anche se il reparto degli infettivi in realtà dista almeno 800 metri dal neonatale e il Sacco non ha mai avuto un caso di ricovero per Ebola. Veti incrociati e interessi contrapposti si incrociano ormai in un grande pasticcio. Che se non farà la salute di bimbi e pazienti, potrà fare la felicità dei palazzinari.