Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia e vice segretario del Pd, non vuole commentare. Fonti della Regione fanno filtrare solo che “alla luce di quanto accaduto c’è piena consapevolezza che serve maggiore vigilanza, regole diverse e più informazione”. Ma “a questa giunta regionale non possono essere addebitate colpe che non ha, in quanto non ha competenze“. Non la pensa così un centinaio dei 17mila titolari di libretti di prestito sociale che hanno finanziato con 103 milioni di euro le Coop Operaie di Trieste, ammesse al concordato preventivo a marzo. Quei soci nelle scorse settimane hanno presentato alla procura di Trieste una denuncia per associazione a delinquere finalizzata a truffarli. E nell’esposto è chiamato in causa anche il vice governatore regionale Sergio Bolzonello, titolare dal 2013 della delega alla cooperazione. Insieme a lui sono citati gli ex vertici e sindaci, la società di revisione che ne ha approvato i bilanci, l’ex assessore regionale Roberto Molinaro, la commercialista incaricata della revisione straordinaria disposta nel 2012 dalla Regione e l’area vigilanza di Legacoop e Confcooperative, che hanno svolto le revisioni ordinarie negli anni precedenti il crac. Revisioni da cui, come ammette il presidente di Legacoop Friuli Venezia Giulia Enzo Gasparutti, sono emerse “tensioni sul prestito sociale“. Che la coop presentava come “uno strumento per mettere al sicuro i propri risparmi”, nonostante consista in una forma di deposito bancario non soggetta alla vigilanza di Bankitalia né coperta, in caso di perdite, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi.
A luglio i prestatori hanno ottenuto il risarcimento del 30% della somma, disposto da Banca Generali che tre anni fa ha concesso una fideiussione sul prestito. Ma un centinaio di persone non si accontenta di vedersi restituire l’81,4% del totale, come prevede il piano omologato a metà giugno, e dire addio a una fetta corposa di risparmi. E soprattutto chiede chiarezza nelle responsabilità di quanto accaduto. Così, assistiti dall’avvocato Stefano Alunni Barbarossa (che nel 2012 da consigliere regionale aveva chiesto il commissariamento delle Operaie), hanno firmato un documento che punta il dito contro quella che viene definita “azione fraudolenta e consapevolmente convergente non solo di uno o più ma di tutti gli attori cui è demandata la gestione e la sorveglianza”. Azione “che ha poi determinato un rilevante danno economico e sociale”.
Patrimonio gonfiato per raccogliere più finanziamenti dai soci – Le ipotesi di reato vanno dalle false comunicazioni sociali all’impedito controllo e all’attività bancaria abusiva, fino alla bancarotta fraudolenta. Per quest’ultima fattispecie l’ex presidente della coop Livio Marchetti è peraltro già indagato in concorso con Augusto Seghene, ex vicesindaco del capoluogo giuliano, ritenuto dai pm l’amministratore di fatto della società cooperativa. E i magistrati giuliani gli contestano alcune delle stesse accuse riportate nell’esposto: in particolare il maquillage dei bilanci tramite operazioni infragruppo su azioni e immobili, in modo da gonfiare il patrimonio netto della capogruppo e rientrare nei parametri per il prestito sociale. Il cui ammontare, in base alla deliberazione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio che ne disciplina la raccolta tra i soci, non può superare il triplo del patrimonio. L’asticella sale a cinque volte il patrimonio se almeno il 30% del prestito è assistito da garanzia, come in questo caso. Peccato che il patrimonio della coop triestina sia stato praticamente azzerato da anni di perdite.
La Regione e la vigilanza “spuntata” – La Regione, che si dice “pronta a offrire massima collaborazione alla Procura”, viene chiamata in causa perché una legge regionale del 2007 le attribuisce la vigilanza sugli enti cooperativi. Vigilanza che secondo l’entourage della Serracchiani “è esclusivamente finalizzata a verificare il rispetto dei requisiti mutualistici tipici delle cooperative e a fornire agli amministratori consigli e suggerimenti utili per migliorare la gestione e il livello di democrazia interna”. Per questo ora la giunta sta lavorando a un disegno di legge che punta a “evitare improprie convergenze tra controllori e controllati”. Ma i soci sostengono che le disposizioni in vigore consentono già di intervenire con sanzioni fino al commissariamento e la vigilanza non è affatto circoscritta ad aspetti formali: la legge recita le revisioni straordinarie devono accertare anche “il regolare funzionamento amministrativo-contabile dell’ente”, “la consistenza patrimoniale” e “lo stato delle attività e delle passività“. E la giunta può disporle, con propria deliberazione, “sulla base di esigenze di approfondimento derivanti dalle revisioni ordinarie e ogni qualvolta se ne ravvisi l’opportunità“. Di qui le contestazioni dei prestatori, che fanno notare anche come l’ultima revisione straordinaria su Coop Operaie, risalente al 2012, quando era presidente Renzo Tondo (all’epoca però non era necessario il via libera dell’esecutivo regionale per avviare i controlli) si sia chiusa senza certificato di revisione. Bolzonello di recente ha negato che fossero emersi “irregolarità” o “rilievi tali da indurre ad adottare eventuali provvedimenti sanzionatori”. Ma Tondo, in un’intervista al Messaggero Veneto di gennaio, ha rivelato che “gli atti” furono “trasmessi alla Procura”.
Legacoop: “C’erano segni di squilibrio. Ma noi non abbiamo strumenti per intervenire” – Adotta la stessa linea di difesa Legacoop Fvg, responsabile delle revisioni ordinarie sulle cooperative aderenti (a turno con Confcooperative se l’ente è associato a entrambe). Per il presidente Gasparutti a rispondere del crac devono essere solo gli ex amministratori e sindaci della coop e la società di revisione privata che li ha approvati. Questo anche se in effetti i controlli annuali condotti dalla Lega nel 2011 e 2012 “avevano evidenziato una tensione sul prestito sociale: il rapporto con il patrimonio era ancora nei parametri di legge ma la differenza si stava assottigliando, perché il conto economico non era in equilibrio. Ed era diffusa la pratica di “metterlo a posto” rivalutando gli immobili e mettendo a bilancio plusvalenze. Poi negli anni successivi le cose sono precipitate”. A fronte di queste evidenze, la centrale cooperativa non è intervenuta. “Ma noi non abbiamo strumenti per intervenire. Siamo come Confindustria: se un’azienda sta per fallire, Confindustria che cosa può fare? In compenso siamo scesi in campo dopo, nello spirito della cooperazione: Coop Nordest ha rilevato 11 punti vendita delle Operaie”. Il messaggio è identico a quello lanciato a fine giugno dal presidente di Coop Nordest Paolo Cattabiani: “Siamo parte lesa. Portiamo tutti lo stesso cognome, Coop, ma non vogliamo essere associati a quelle persone”.
“Con 380 euro non fai una grande revisione” – Tornando alle revisioni, per Gasparutti “in base alle regole vigenti hanno solo lo scopo di verificare i requisiti di mutualità della coop, la corretta tenuta dei libri sociali e il livello di democrazia interna. D’altro canto, il revisore viene pagato 380 euro… con 380 euro non fai una grande revisione: prendi atto dei documenti ufficiali, ovvero del bilancio chiuso al 31 dicembre dell’anno prima. Ma a prevederlo è la legge, appunto. Di conseguenza, per quanto riguarda la denuncia noi siamo sereni e tranquilli. Certo, ormai è evidente che gli attuali controlli non sono sufficienti, bisogna che entrino nel merito di valutazioni tecniche e gestionali. Per questo noi come Legacoop stiamo approvando un regolamento più stringente”. Insomma: i controllori sostengono di avere le mani legate e giurano che era impossibile fare di più. I soci si ritengono truffati, sperano nell’apertura di una nuova indagine e sono pronti a costituirsi parte civile.