Onestamente non ho ricordi di che voto la Prof.ssa Egeria Di Nallo mi diede all’esame del suo corso all’Università di Bologna. Probabilmente non seguii nemmeno il corso, impegnato com’ero ad annoiarmi. Era uno dei primi esami dei miei tre anni a Sociologia, “Teorie e Tecniche delle Comunicazioni di Massa”. Avevo rimosso totalmente il nome della Prof e del corso che teneva. Fino a che ieri mi imbatto in questo divertente articolo riassumibile grossomodo così: si stava meglio quando si stava peggio; una volta drogarsi era ribellione ora invece è puro conformismo; il dna dei pesci muta a causa alla droga (e speriamo che questa non decimi anche loro). Ho sorriso leggendolo: mi ha ricordato perché i Simpson forniscono da sempre risposte a tutti i problemi dell’universo. Nella fattispecie, pezzo riassumibile con la seguente immagine:
Le analisi sul mondo della droga che ho letto in questi giorni mi paiono di un tenore non diverso. Non tanto per il focus posto (chi sull’uso, chi sul rapporto discoteca-musica-sostanze, chi su altro), quanto per la pochezza nell’analisi del problema. E di messa in gioco di strumenti critici – media generalisti in primis – per analizzarlo. Questo screen fornisce un agilissimo e immediato esempio a riguardo.
Insomma, secondo il “sospetto del Viminale“ non ci si droga solo a Riccione. Wow. Attendiamo nuove. Ma cosa manca in primis per approcciarsi al problema? Beh, averne un minimo di contezza. Capire che ruolo ha l’assunzione di sostanze alteranti nella società (evito qui ogni considerazione sull’accettazione che l’alcol ha, e il costo sociale che questo comporta), che rapporto ci sia tra queste e il divertimento (ambito nel quale rientra la club culture) e come questo rapporto si sia evoluto. La cosa molta curiosa è che – leggendo su internet – emerge con forza la fazione dei parrucconi vs dance music (uso questa dicitura per esplicitare della, generalmente intesa, musica da ballo). Mi metto per un momento nei panni di Sgarbi e ricordo celebri drogati – fino a prova contraria non credo mi beccherò una querela da parte loro – che hanno segnato la storia delle musica con la loro techno a 180bpm: Jim Morrison, i Beatles, Jimi Hendrix, Kurt Kobain. In sostanza: il problema non può ridursi solo alla declinazione musicale. Ciononostante è indubbio che il legame ci sia. A tal riguardo faccio mie le parole di Damir Ivic su Soundwall: “le droghe hanno fatto parte della storia della club culture fin dai suoi albori. All’inizio succedeva soprattutto per motivi ‘ideali’ (…). La droga da esperienza di liberazione diventa un ingranaggio del sistema dell’industria dell’intrattenimento. Ok. Questo slittamento c’è stato, non è uno slittamento che ci rallegra, ma è uno slittamento inevitabile dato che è fisiologicamente impossibile mantenere la purezza originaria degli intenti”. Proprio per questo capire il perché e il come delle cose mi pare condizione necessaria. Nella fattispecie consiglio questo. In alternativa ci si dovrebbe sempre sempre appellarsi a questo refrain.
Purtroppo in Italia si è rinunciato, al netto delle terrificanti campagne antidroga nelle quali – non diversamente dagli striscioni ultrà che sventolano settimanalmente negli stadi – suppongo che se non c’era un claim in rima i direttori creativi venissero licenziati, a un approccio razionale e ragionato al tema. Con questo tipo di informazione e con questo livello di analisi non andremo mai da nessuna parte. Disintossicarsi da quel che si legge in giro, prima ancora che da quel che ci si cala, potrebbe essere un buon inizio.