I giudici ribadiscono la solidità del reato nelle motivazioni in cui confermano le condanne a 40 persone coinvolte nella maxi operazione Infinito in Lombardia. Ad aprile la Corte per i diritti umani aveva dato ragione all'ex agente del Sisde Bruno Contrada, perché all'epoca dei fatti il reato era poco chiaro
La ‘ndrangheta lombarda messa a nudo, vista ai raggi X. E’ qui, con tutti i suoi omicidi, le intimidazioni, gli affari, i traffici e lo storico summit nel circolo Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano che portò alla nomina di Pasquale Zappia ai vertici dell’organizzazione criminale nella regione. E’ tratteggiata nelle oltre 250 pagine con cui la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Antonio Esposito, a maggio ha confermato le condanne in Appello fino a 20 anni di carcere per 40 persone coinvolte nell’inchiesta Infinito: il micidiale colpo assestato nel 2010 dalla Dda di Milano e da quella di Reggio Calabria alla “Lombardia”, l’organo di comando della ‘ndrangheta al Nord in diretto contatto con i mammasantissima calabresi.
Ma in queste pagine non viene riportata la cronaca di quasi dieci anni di delitti consumati nel profondo Nord. Non solo. Nelle motivazioni degli ermellini, infatti, vengono ribaditi i cardini del reato di concorso esterno in associazione mafiosa: lo strumento che colpisce la cosiddetta “borghesia mafiosa”, i colletti bianchi, gli uomini dello Stato e gli “insospettabili” che danno una mano alle ‘ndrine della Locride così come a quelle della ricca e operosa Brianza. E soprattutto viene smentita la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che il 14 aprile scorso ha dato ragione all’ex superpoliziotto ed ex Sisde Bruno Contrada, perché all’epoca dei fatti in cui era coinvolto l’allora funzionario il reato era “poco chiaro“.
L’occasione per ritornare sul tema viene offerta dall’ex politico Dc ed ex dirigente dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco (condannato in appello a 12 anni) e dall’ex imprenditore brianzolo Ivano Perego (tredici anni) che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 110 (concorso di più persone in un reato, ndr) e 416-bis (associazione mafiosa, ndr) – (nella parte in cui incriminano il “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso), perché – secondo i difensori – è in contrasto con la Costituzione e con la Convenzione dei diritti umani di Strasburgo. I legali citano come esempio proprio la sentenza di Strasburgo su Contrada. Ma la loro richiesta è stata bollata come “manifestamente infondata“.
Per l’accusa, Carlo Chiriaco “avrebbe favorito gli interessi economici della ‘ndrangheta garantendo appalti pubblici e proponendo varie iniziative immobiliari”. E sarebbe stato l’uomo-cerniera tra politici e boss. Ma secondo la sua difesa, il verdetto di Strasburgo “avrebbe affermato che il citato ‘concorso esterno’ nei reati associativi costituirebbe istituto di creazione giurisprudenziale”, insomma una sorta di “forzatura”. Non è così per i supremi giudici. I quali ricordano che “la stessa Corte Costituzionale ha ribadito che il ‘concorso esterno’ non è, come postulato dalla Corte Europea dei diritti umani nella citata sentenza Contrada, un reato di creazione giurisprudenziale, ma scaturisce dalla combinazione” tra l’articolo 416-bis e il 110.
Gli ermellini ribadiscono che il concorso esterno si ha quando il non affiliato all’organizzazione porta “un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario” ai boss. E precisano: “Generalmente l’attenzione si concentra sull’aspetto più cruento dell’associazione mafiosa” tuttavia, “ai fini del raggiungimento degli scopi associativi, risultano non meno importanti le attività poste in essere da soggetti in apparenza al di sopra di ogni sospetto, dotati di specifiche competenze professionali”, la cosiddetta “borghesia mafiosa”. Grazie alla quale la ‘ndrangheta dilaga “nel campo della società civile”.