A Ragusa verbale della Guardia di finanza per omesso pagamento dell'imposta sugli immobili a un impianto della Edison. Ed è la prima volta che succede. Finora i comuni hanno tentato, con poca fortuna, deferendo i petrolieri alle commissioni tributarie. E se fossero tassate anche le altre 125 piattaforme disseminate lungo le nostre coste? Forse i petrolieri sarebbero costretti a rivedere i loro piani, perché il mare d'Italia non sarebbe più così "offshore" (ed esentasse)
Sulle terre emerse non si riesce a far pagare l’Imu alle scuole private. Vediamo se ci riesce in mare aperto, bussando alla porta dei petrolieri. A fine luglio la Guardia di Finanza del nucleo di Polizia tributaria di Ragusa è salita sulla piattaforma petrolifera Vega (Edison), la più grande sinora costruita, che occupa un’area antistante la costa iblea, dove per altro la società ha già depositato al ministero dell’Ambiente istanza per un’ulteriore piattaforma. I finanzieri fanno il sopralluogo e scendono a terra, non prima di aver elevato però un verbale da 30 milioni di euro. Sì, non è un refuso: trenta milioni di euro. E’ la prima volta che accade.
Finora la pretesa di alcuni comuni di far pagare le imposte locali ai titolari delle piattaforme è andata avanti a suon di carte bollate, rimbalzando sugli orientamenti incerti delle varie commissioni tributarie. Stavolta c’è un accertamento “in loco” che, se non affossato da ricorsi e salvacondotti, potrebbe avere effetti rilevanti per quei territori che si devono accontentare delle modeste royalties dovute a titolo di riparazione del “disturbo”. Basta moltiplicare l’importo per il numero di trivelle per capire che la partita vale molti molti zeri: ad oggi si contano 106 piattaforme, più 8 di supporto, più 3 unità galleggianti e 8 non più operative. In tutto 125, per non parlare di quelle nuove che si vogliono realizzare approfittando delle semplificazioni dello Sblocca Italia.
Si tratta di un mare di soldi. Dare seguito al verbale potrebbe anche costringere i petrolieri a rivedere i loro propositi, che si basano da sempre su costi di produzione limitati e licenze a buon mercato a fronte di guadagni altissimi (e garantiti). Il rischio ambientale, per chi fa offshore, non ha prezzo e infatti nessuno lo paga finché non capita il “disastro ambientale”. Ma ecco che arriva l’esattore che, a mille miglia dalla costa, ti chiede – se non è troppo – di versare almeno la vecchia Ici (per gli anni passati) e la nuova Imu.
Che sarà guerra è chiaro, vista l’opposizione dimostrata finora dai big del petrolio, quando a bussare erano le avvocature dei comuni competenti per lo spazio marino da cui le installazioni cavano greggio o gas. Una sentenza della Cassazione del 2005 (n. 13794) ha riconosciuto il potere impositivo Ici dei Comuni sulle opere site nel mare territoriale ed ha dichiarato l’irrilevanza a fini impositivi di tale allocazione, per essere il mare territoriale “di appartenenza dello Stato italiano”. Su quella vari municipi costieri (Pineto, Termoli, Tortoreto, Gela, Porto S. Elpidio, Pedaso, Cupra marittima, Torino di Sangro, Falconara) hanno chiesto alle società petrolifere la corresponsione dell’imposta sull’intero “complesso opificio”, costituito dalle centrali di smistamento site sulla terraferma, dalle piattaforme e dalle condotte.
Le società tirate in causa, Eni ed Edison soprattutto, si sono prodigate a contestare l’accatastamento delle trivelle, sostenendo che una piattaforma non sia assimilabile a un “complesso opificio”, anche se una legge dello Stato del 1992 – fanno notare i senatori M5S – fissa in modo chiaro e non riduttivo il principio impositivo: “Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati (…) siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa”. E che cosa è mai una trivella, se non un sito produttivo di tipo industriale? Chi volesse approfondire la questione può navigare tra i documenti citati nell’interrogazione parlamentare dei senatori Cinquestelle Girotto, Castaldi e Petrocelli (leggi): un profluvio di testi di legge, circolari interpretative, disposizioni tributarie, eccezioni. Alla fine gli interroganti chiedono una cosa sola: Signor ministro, le tassiamo oppure no queste piattaforme?
E già che ci sono ricordano un caso di scuola. In assenza di un orientamento chiaro sul tema, infatti, può succedere di tutto. A 11,5 chilometri dalla costa di Rimini c’era una piattaforma denominata “Isola delle rose”. La gente ancora ne parla. Prima di essere demolita con l’esplosivo era stata adibita a scopi turistici e commerciali. Su due solai di 400 metri quadri ciascuno venne aperto un ristorante con annesso ufficio postale, poi fioccarono le richieste di aprire un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un bar, un night club, una stazione radio e persino di un casinò. Tutto offshore, naturalmente. Esentasse. Ecco, visto che la faccenda delle trivelle sta diventando esplosiva per davvero, il governo potrebbe cogliere l’occasione offerta dalla Finanza, già corpo dello Stato, per dimostrare che non fa regali e sconti ai petrolieri. Un’accusa che si trascina dietro dall’autunno scorso, quando nello Sblocca Italia ha introdotto norme che semplificano e velocizzano le autorizzazioni per le istanze di ricerca. Riaprendo, di fatto, la corsa al petrolio e al gas nei nostri mari.