Un’estate torrida provoca danni ingenti all’agricoltura e più in generale all’economia. La gestione delle crisi è stata affidata fino a oggi a una cabina di regia, creata su base volontaria. Visti i successi conseguiti, ora va resa più istituzionale.
di Alessandro De Carli, Antonio Massarutto, Dario Musolino e Federico Pontoni, lavoce.info
La cabina di regia per il Po
Le elevate temperature di luglio e le scarse precipitazioni allarmano sempre di più, presagendo danni ingenti all’agricoltura e all’economia, soprattutto in pianura padana, dove il livello del Po è sceso in modo considerevole, tanto da far riunire la “cabina di regia” per la gestione dell’emergenza idrica del fiume Po.
La cabina di regia è stata istituita per la prima volta nel 2003, con l’intenzione di favorire il coordinamento tra i numerosi attori coinvolti nella gestione e nell’uso delle risorse idriche, e dunque, in prospettiva, una gestione unitaria del bacino del Po. A questa iniziativa, coordinata dall’Autorità di bacino, furono invitati a partecipare i principali soggetti deputati alla gestione delle risorse idriche e i suoi principali utilizzatori. In quell’anno, i partecipanti firmarono un protocollo d’intesa che prevedeva il rilascio aggiuntivo di 3,7 milioni di metri cubi al giorno dagli invasi idroelettrici montani, il trasferimento diretto a valle dei laghi delle portate aggiuntive rilasciate e una diminuzione del 10 per cento dei prelievi irrigui rispetto ai valori del momento. Tali misure volontarie permisero allora di contenere i danni. Il successo dell’operazione ha fatto sì che la cabina di regia sia diventata un punto di riferimento della gestione delle crisi idriche, pur in assenza di un esplicito mandato legislativo, vista la sua capacità di aggregare i diversi portatori d’interesse.
L’agricoltura non ha perso
Quando si pensa alla siccità, è facile immaginare che il settore afflitto da maggiori perdite sia l’agricoltura, motivo per cui, anche nel 2015, la cabina di regia è stata salutata con favore proprio dagli agricoltori. Tuttavia, nei due ultimi episodi di siccità (2003 e 2006/2007), il settore agricolo nel suo complesso ci ha guadagnato, in quanto la riduzione della produzione è stata più che compensata dall’innalzamento dei prezzi. Alla fine, come mostrato in tabella 1, il costo della siccità è stato pagato dai consumatori finali, quando non assorbito dalle fasi di lavorazione e intermediazione a valle.
La siccità, ovviamente, ha effetti anche altri settori e a volte ne ha di nefasti sull’ambiente. Ad esempio, nel 2003, il settore elettrico fu colpito duramente: anche in quel caso, tuttavia, gli effetti furono traslati sui consumatori.
Differenze tra destra e sinistra (orografica)
A scala regionale, gli studi evidenziano che l’impatto ha avuto ricadute assai diverse, con conseguenze distributive importanti che riguardano in particolare la destra e la sinistra idrografica del Po. La Lombardia, con gli invasi montani e i grandi laghi regolati, è meno vulnerabile ad eventi di scarsità idrica. L’Emilia Romagna, invece, risulta essere l’area che subisce i maggiori danni, in quanto dispone di una capacità di invaso limitatissima e quindi si affida all’acqua del Po per l’irrigazione della sua agricoltura ad alto valore aggiunto (frutta, ortaggi, per esempio).
Inoltre, le scarse portate del fiume nel tratto terminale non riescono a contrastare l’intrusione delle acque marine nelle falde acquifere e alle prese irrigue nei rami del Delta; vaste aree agricole, soprattutto nel Veneto, rischiano di essere compromesse ogni volta che si manifesta un evento siccitoso.
Dunque, il beneficio netto per l’agricoltura nel suo complesso, comporta in realtà una serie di vincitori e vinti, a seconda della loro localizzazione geografica.
Nuove infrastrutture o “pianificare l’emergenza”?
Quando si manifestano eventi del genere, le richieste di nuove infrastrutture (dighe, canali, e altro) aumentano. Tuttavia, interventi strutturali sulla rete irrigua sarebbero giustificati solo se gli eventi di scarsità idrica si manifestassero con una frequenza maggiore. Anche se gli scenari previsti dai cambiamenti climatici ci dicono che questi eventi potrebbero verificarsi con maggiore frequenza, per il momento, da un punto di vista collettivo, è più economico sostenere iniziative di gestione come la cabina di regia e compensare quegli agricoltori che subiscono danni.
L’esperienza della cabina di regia, a nostro avviso, è molto positiva, per almeno due ragioni. In primo luogo, perché dimostra che anche situazioni molto gravose sono governabili, purché affrontate su una scala territoriale adeguata, con i poteri decisionali affidati a un’istituzione capace di imporre una visione fondata sull’interesse generale. In secondo luogo, perché rappresenta un modello di governo partecipato e cooperativo, sia in senso di cooperazione inter-istituzionale, sia pensando al coinvolgimento dei portatori di interesse. Rappresenta perciò un possibile esempio di “via italiana” alla governance partecipata e multi-livello, in linea con le raccomandazioni delle principali istituzioni multilivello (Oecd, Nazioni Unite) e le prescrizioni della direttiva quadro dell’Unione Europea.
Il pregio della cabina di regia è, oggi, anche il suo limite: basandosi sulla buona volontà di tutti e sulla reputazione dell’Autorità di bacino, avrà successo fintanto che sussisteranno tali elementi. Pertanto, è forse giunto il momento di dare maggior valore a questo ottimo strumento: senza stravolgere le sue modalità di funzionamento, è necessario introdurre la predisposizione dei piani di emergenza, come si è iniziato a fare per le alluvioni, al fine di garantire maggior certezza e prevedibilità nelle azioni da intraprendere. Inoltre, la presenza di impatti distributivi diversi fra soggetti diversi suggerisce l’opportunità di introdurre meccanismi assicurativi, anche su base mutualistica.