Secondo le autorità del Cairo, i nuovi 72 chilometri entro il 2023 aumenteranno di quasi tre volte la rendita dell'infrastruttura e l'indotto industriale potrà creare sino a un milione di posti di lavoro. Valutazioni che per gli esperti sono basate su criteri poco trasparenti. E tra le incognite ci sono anche le azioni del terrorismo islamico
Una moneta d’oro da un pound e un timbro speciale sui passaporti. Il governo egiziano non perde occasione per ricordare che la nuova linea del canale di Suez che si inaugura oggi segna la rinascita del paese. Tra le bandiere egiziane chilometriche esposte negli edifici governativi della capitale e i festeggiamenti con vuvuzelas e fuochi d’artificio, Sisi cerca l’ennesima consacrazione. Intanto, la compagnia egiziana dell’Opera House rispolvera la rappresentazione dell’Aida di Verdi e la stampa è entusiasta: il presidente è la vera guida che porterà il paese fuori dalla crisi dei 4 anni di transizione del dopo rivoluzione. E’ lui il degno erede di Nasser, il presidente che nel 1956, rischiando un conflitto con Gran Bretagna e Francia, nazionalizzò il canale.
L’infrastruttura originale è stata costruita 146 anni fa e per l’Egitto rappresenta una delle entrate più importanti di moneta straniera, con una rendita annuale di circa 5 miliardi di dollari.
Secondo i dati del governo, i nuovi 72 chilometri – costruiti in meno di un anno – entro il 2023 aumenteranno di quasi tre volte la rendita dell’infrastruttura. La costruzione della seconda linea è terminata in meno di un anno ed ha avuto un costo di realizzazione di circa 8 miliardi di dollari. Al netto della propaganda, tra gli esperti internazionali c’è chi avanza diversi dubbi sull’effettivo impatto che la nuova infrastruttura avrà sull’economia egiziana.
“Non sono trasparenti i criteri utilizzati per questi calcoli”, dice a IlFatto.it Neil Davidson, analista di Drewry, think tank londinese nel settore marittimo. “Per esempio – prosegue – sui guadagni futuri ci sono diverse incognite. La prima riguarda il numero delle navi che passeranno nel nuovo canale, mentre la seconda è legata a quante tonnellate le imbarcazioni trasporteranno, e questo al momento non è quantificabile”.
Le autorità del Cairo ribadiscono che la seconda linea e il suo indotto industriale potranno creare sino a un milione di posti di lavoro. Diversi analisti sostengono però che i benefici sull’occupazione sono legati a diversi fattori macroeconomici, mentre il governo sarà obbligato a sbaragliare la concorrenza di altre aree nel mondo che, come l’Egitto, mira ad attirare nuovi investitori stranieri.
“Stanno aumentando la capacità del canale (che passerà da 43 a 97 navi al giorno entro il 2023) ma i benefici che ne deriveranno sono tutti da vedere”, spiega Angus Blair, analista di Signet, istituto di ricerca economica del Cairo. “Al momento hanno solo trasformato una parte di una strada a una carreggiata in un’autostrada”.
Chris Wright sulla rivista Forbes spiega che il progetto è stato finanziato con dei certificati di investimenti e questo dimostra che nel paese c’è una buona liquidità, nonostante l’inflazione crescente, l’alto debito pubblico e la scarsità di moneta straniera. Dall’altra parte Wright punta il dito sulla situazione politica, e mette in evidenza che la mancanza di democrazia, le condanne a morte di massa e il giro di vite contro i diritti umani possono attirare nuove reclute tra gli estremisti islamici.
Il problema legato all’attività dei gruppi terroristici resta il più importante. Suez si trova all’ingresso della penisola del Sinai, zona in cui negli anni seguenti alla deposizione di Mohammed Morsi nel 2013 i movimenti jihadisti hanno accresciuto la loro attività. Ieri il gruppo Wilayat Sina, affiliato allo Stato Islamico dal novembre scorso, ha pubblicato un video rivendicando il rapimento di un lavoratore croato della compagnia francese GCC avvenuto lo scorso 22 luglio a poche decine di chilometri a sud del Cairo.
I jihadisti hanno dato al governo un ultimatum di 48 ore chiedendo il rilascio di “diverse detenute musulmane”. Il rapimento di un lavoratore straniero, il primo del suo genere dalla deposizione di Mohammed Morsi nel 2013, è un fulmine a ciel sereno in questi giorni di festeggiamenti e nazionalismo sfrenato, e mette a dura prova anche la retorica della sicurezza su cui Sisi ha costruito buona parte del suo consenso politico.