Cultura

“Che cosa c’è sotto”, tutto quello che avremmo dovuto sapere sul consumo di suolo. Prima di consumarlo

PAGINE NERE - Libri su crimini veri italiani e no. Dall'urbanista Paolo Pileri un manifesto competente e documentato contro la cementificazione selvaggia. Che accusa la politica, sfata l'utopia ecologista di "villettopoli" e smonta il mito dei piccoli Comuni: "Hanno usato il suolo come un bancomat per finanziare le sagre di paese". Le soluzioni? Ci sono, basta guardare al resto d'Europa. Ma bisogna volerle

di Mario Portanova

suoloCi preoccupiamo tanto dell’acqua e dell’aria, ma poco o nulla dell’ecosistema su cui poggiamo i piedi e che produce il 95% del nostro cibo: il suolo. In “Che cosa c’è sotto. Il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo” (Altreconomia), l’urbanista del Politecnico di Milano Paolo Pileri denuncia con competenza e numeri alla mano i danni, i costi, i rischi della cementificazione dissennata del territorio. Primo fra tutti – ma non unico – il celebre “dissesto idrogeologico”, eterno dibattito stagionale concomitante con alluvioni e frane. Fino a dieci anni fa l’espressione “consumo di suolo” diceva poco o nulla (eppure il crimine urbanistico si era già consumato, basti l’esempio della Riviera Ligure o alla “capannonopoli” fiorita tra Lombardia e Veneto grazie alla legge Tremonti), oggi è materia di convegni, studi, campagne che hanno portato a nuove leggi nazionali e regionali.

Il libro di Pileri, realizzato attraverso il crowdfunding, si propone dunque come un manifesto di quella che l’autore definisce “una delle più grandi battaglie culturali e civili di questo Paese”. L’Italia primeggia infatti in consumo di suolo, dato che le ruspe azzannano 70 ettari di terra vergine al giorno. Mentre le soluzioni proposte dall’autore sono quasi tutte d’importazione: fasce verdi tra comuni imposte per legge, limiti geografici o numerici all’espansione urbana, compensazioni, vincoli di varia natura. Strumenti che, sostiene Pileri, in Paesi certamente capitalisti e liberali come Regno Unito, Germania e Francia danno buoni risultati, mentre da noi, nella Patria dei proprietari di case (ricordate quell’80% di cui andava fiero Berlusconi?), limitazioni del genere sono viste come lacci e lacciuoli che finiscono per imbrigliare “l’unico settore che tira”, vale a dire l’edilizia. Così i politici tendono a salire sul carro delle nuove lottizzazioni, del nuovo centro commerciale, del nuovo polo logistico, del nuovo svincolo, lasciando la battaglia contro il consumo di suolo a pochi rompiscatole quasi sempre – ma con lodevoli eccezioni, alcune raccontate nel libro – condannati all’opposizione. Chissà quanti candidati sindaco (o presidente del Consiglio) sottoscriverebbero la ricetta drastica proposta da Pileri: consumo zero, per legge, finché non si è recuperato tutto l’esistente già cementificato (e i 2 milioni di alloggi in Italia che sono vuoti da anni, oltre all’invenduto).

In “Che cosa c’è sotto“, l’urbanista sfata anche molti miti ecologisti. Soprattutto al Nord, vasti terreni agricoli sono stati sacrificati proprio alla pulsione di lasciare la metropoli per andare a vivere in campagna (la cosiddetta “villettopoli”, che gli urbanisti chiamano sprawling); in città denso è bello, un palazzone di 15 piani consuma meno suolo di un quartiere di graziose villette con giardino. E, soprattutto, il libro sfata il mito del “piccolo è bello”, della sacra autonomia dei piccoli Comuni, ciascuno con il suo “piano di governo del territorio”, con il suo palazzetto dello sport, con il suo progetto di nuova strada… Piccoli Comuni che, scrive Pileri, hanno “usato il suolo come un bancomat per finanziare le sagre di paese”, cioè hanno usato gli oneri di urbanizzazione derivati da una risorsa preziosa e limitata per finanziare le spese correnti. Poi le sagre finiscono, ma il suolo andato non ritorna più.

LA FRASE. “Allora le visioni vanno ribaltate. Non sono le bombe d’acqua il problema (o non solo) ma le bombe di cemento che abbiamo sganciato in tutti questi anni, cancellando la permeabilità del suolo”.

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