Ho svolto lunedì, nella sede dell’Istituto di diritto internazionale dell’Accademia cinese di scienze sociali, la mia relazione di quarantacinque minuti sul diritto alla salute nel diritto internazionale, seguita da quelle della direttrice del Centro di studi cinesi dell’Universitaà di La Plata, Maria Francesca Staiano, da tempo mia valida collaboratrice, e da quella di una collega cinese, nonché da un vivace dibattito cui hanno partecipato vari ricercatori e giovani dottorandi dell’Accademia. La relazione l’ho svolta in inglese dato che la mia conoscenza della bellissima e molto espressiva lingua mandarina è ancora insufficiente allo scopo.

A poca distanza dall’edificio in questione si trova l’antica Biblioteca dell’Università di Pechino dove lavorò, all’inizio del ventesimo secolo, Maozedong. Narrano le cronache come gli accademici del tempo si mostravano piuttosto restii a dialogare con quel giovane proveniente dalla provincia. Anche da ciò, probabilmente, nasceva la giusta avversione dell’artefice della Cina moderna nei confronti dell’intellettualità avulsa dai problemi e dalle necessità del popolo, un’avversione oggi più che mai giusta e sacrosanta.

Secondo un’interpretazione fatta propria da Badiou, che ho letto in un libro di Slavoj Zizek che mi sono portato in viaggio, Mao era, ai tempi della Rivoluzione culturale, un leader oramai indebolito dalla vecchiaia e dalla malattia. Ciò spiegherebbe il prevalere, all’interno di quell’importante fenomeno che tanta eco ebbe in Occidente, di spinte estremiste. Anche per effetto di tali eccessi prevalse come è noto in seguito, dopo la morte di Mao, la linea “modernizzatrice” di Deng Xiao Ping. A credito di quest’ultima, come ho scritto, ci sono gli stupefacenti avanzamenti sul piano dell’economia e della tecnologia, ma sono stati pagati anche alcuni prezzi in termini di diseguaglianze sociali e di degrado ambientale.

Attualmente rispondere a questi effetti negativi della modernizzazione costituisce l’imperativo principale per la classe dirigente cinese. Nel frattempo la Cina si avvia, se già non lo è, a divenire la prima potenza mondiale sul piano economico e sta accrescendo, in tutto il mondo e anche in Europa, il suo soft power, inteso come capacità di egemonia e di convincimento. Pare tuttavia ben lungi dal gruppo dirigente del Paese ogni tentazione di tipo imperialistico. E occorrerà, in tale ottica, trovare soluzioni pacifiche, e soddisfacenti per tutti, di dispute come quelle relative agli spazi marittimi e alle notevoli risorse in essi contenute.

Un’altra sfida importante è quella della lotta alla corruzione. Viaggiando in macchina per Pechino con un collega cinese mi indica la funzione degli enormi grattacieli che ospitano i vari organismi pubblici e prende spunto per informarmi che il tale alto papavero della sicurezza o il tale altissimo dirigente della Banca di Cina si trovano in carcere per tale motivo. Mi viene da pensare che invece da noi volano solo gli stracci mentre personaggi come Azzollini si salvano in virtù del presunto fumus persecutionis identificato dal sottile olfatto del nostro Presidente del Consiglio.

Raddrizzando la barra dell’economia e della società e ponendo al centro della loro attenzione i bisogni e le aspettative del popolo, secondo gli insegnamenti dei grandi e venerandi Padri di questo Stato, la classe dirigente cinese attuale potrà senza dubbio dare un contributo enorme anche alla governance del pianeta, ampliando la collaborazione con tutti gli Stati, compresi ovviamente gli Stati Uniti, e in particolare con la nuova coalizione di potenze emergenti che si ritrovano nella sigla Brics (Brasile, Russia, India, Cina Sudafrica). Democrazia è del resto una delle parole d’ordine cui lo Stato cinese si ispira e il modello partecipativo va implementato con coerenza e coraggio, superando paure e tentazioni repressive. Del resto, quando il gruppo dirigente cinese imbocca una strada, è in grado di attuare le proprie decisioni in tempi molto brevi. Altro che Renzi.

Pechino è città affascinante e tranquilla dove ci si rilassa davvero. Più di una volta, in passato, mi è accaduto di perdermi per i suoi vicoli e i suoi grandi viali, ritrovando però sempre la strada di casa grazie alla generosa e caparbia collaborazione dei suoi abitanti. Una signora messicana, che incontro nell’ascensore dell’albergo, mi chiede se Pechino è sicura. “No se preocupe senora, es la ciudad mas tranquilla del mundo”, le rispondo. Non è certo poco, in un pianeta sempre più scosso da violenza, inquietudine e frustrazione.

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