La legge sulla terapia del dolore è attuata a macchia di leopardo. L'assistenza a domicilio, che costa 100 euro a notte conto i 700-900 in ospedale, non sempre è possibile. Le strutture residenziali dedicate, dove la spesa giornaliera è di circa 300 euro, sono 60 in Lombardia e solo 37 in tutto il Mezzogiorno. L'esperto: "Integrazione tra medici di famiglia e servizi specialistici sarebbe vantaggiosa per pazienti e Ssn"
“Il sistema italiano delle cure palliative ha una normativa con pochi paragoni in Europa, ma si è sviluppato a macchia di leopardo”. Così Carlo Peruselli, presidente della Società italiana delle cure palliative, descrive lo stato dell’arte dell’attuazione della legge 38 sulla terapia del dolore. Su cui di recente ha fatto il punto l’annuale rapporto del ministero della Salute al Parlamento. “Un modello efficiente di reti locali in cui lavorano sia medici di famiglia sia servizi specialistici sarebbe quello con più vantaggi per tutti”, continua il professore. “Innanzitutto il paziente e la famiglia, ma anche i sistemi sanitari, che vedrebbero ridursi l’utilizzo improprio delle risorse”. Risorse che oggi vengono divise tra i vari contesti assistenziali: ospedaliero, hospice (le strutture residenziali dedicate) e assistenza domiciliare. Che hanno costi molto differenti: in media un giorno di ricovero in hospice può andare dai 300 ai 370 euro, un giorno a domicilio si aggira intorno ai 100 euro mentre una giornata di ricovero in ospedale, pur variando a seconda del reparto, parte dai 700 e può arrivare fino ai 900 euro.
“Anche i costi dell’assistenza domiciliare possono variare – specifica Peruselli – a seconda dei livelli assistenziali. Ma rispetto alla degenza in ospedale, l’aspetto fondamentale delle rete di cure palliative è quello umano”. E se i costi variano, a riprova del fatto che nel sistema ci sono forti disomogeneità anche le tariffe degli hospice (cioè quanto viene rimborsato dal Ssn) sono molto diverse da regione a regione, come dimostra la tabella che gli stessi enti locali (e non tutti) hanno compilato. “La tariffa media, che si aggira intorno ai 250-300 euro, non copre effettivamente tutti i costi”, specifica poi Peruselli. Lo stesso vale per le tariffe domiciliari, sulle quali sono in via di definizione gli standard nazionali.
Hospice – La rete delle cure palliative sta facendo piccoli passi avanti. I dati attestano “un trend decrescente del numero di pazienti deceduti in un reparto ospedaliero per acuti con diagnosi neoplastica”, si legge nella relazione. E la rete degli hospice ha visto un aumento di 10 unità rispetto all’anno scorso, arrivando a un totale di 231 strutture e 2.551 posti letto, con una durata media del ricovero di 22 giorni. A fare da capofila la Lombardia, con 60 hospice per un totale di 738 letti, mentre, considerato il numero di abitanti, fanalino di coda sono le regioni del Sud e le isole: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna in tutto contano solo 37 strutture.
Inoltre la rete non è ancora completa rispetto al progetto iniziale: i fondi stanziati dalla legge 39/99 ancora non sono stati impiegati totalmente per la costruzione delle strutture programmate. Il processo va accelerato, anche considerando che l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito quello degli hospice un approccio “che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie” alle prese con le problematiche associate a malattie inguaribili.
Assistenza domiciliare – Ciò su cui tutti concordano è la necessità di sviluppare ulteriormente l’assistenza domiciliare. “Il dato ottimale sarebbe di un paziente in hospice ogni 4-5 a casa”, dice a ilfattoquotidiano.it il professor Guido Fanelli, esperto di terapia del dolore ed ex presidente della commissione per l’attuazione della legge 38. “Gli hospice dovrebbero essere usati come momento di formazione per la famiglia per poi prevedere un passaggio a domicilio”. Secondo la relazione si è registrato un aumento del 30% in un anno del totale del numero dei pazienti assistiti, che sono arrivati a 52.109 pazienti, ma il problema anche in questo caso sono le differenze di sviluppo tra le regioni. Un ambito in cui si inserisce anche il no profit, ma anche qui “il problema è il doppio binario: la stessa associazione in regioni diverse è convenzionata con il Ssn, in altre no. E questo crea differenze al livello assistenziale”, spiega Fanelli.
Eppure, dove la legge è stata applicata il sistema funziona: un esempio è quello dell’Asl-azienda ospedaliera della provincia di Lecco: “La caratteristica del nostro sistema è quella sancita dal Patto della Salute 2012-2014, cioè l’organizzazione in rete che garantisca la continuità della cura tra i diversi setting assistenziali. Noi ogni giorno assistiamo in linea 130 pazienti a domicilio e 12 in hospice”, spiega il dottor Gianlorenzo Scaccabarozzi, direttore del dipartimento fragilità rete cure palliative.
Anziani e rete pediatrica – La grande sfida del sistema di cure palliative riguarda gli anziani, in costante crescita. Per quanto riguarda la rete pediatrica, invece, con la legge 38/2010 viene sancito che i bambini devono essere trattati con modalità specifiche in luoghi consoni all’età. Si stima che in Italia vi siano più di 30mila minori che hanno diritto alle cure palliative. E la risposta a questo bisogno qual è stata? La gestione domiciliare, anche qui, rappresenta l’obiettivo. Quando non è possibile, l’hospice pediatrico rappresenta “il modello assistenziale di riferimento sia per efficacia che per attuabilità”, specifica il rapporto. Ma i dati non sono incoraggianti: “A 5 anni dalla legge – si legge – 14 regioni hanno deliberato” e solo in “6 la rete è parzialmente o totalmente funzionante”.
Terapia del dolore – Diverso il discorso sulla terapia del dolore, per cui la legge 38/2010 ha sancito il diritto d’accesso a tutti i pazienti che lamentano dolore cronico e che la distingue dalle cure palliative. I dati segnalano un aumento nell’uso di farmaci analgesici tra oppiodi e non. Anche qui, però, il sistema presenta delle criticità: “L’Italia è il Paese delle bellissime leggi che hanno difficoltà nella piena applicazione”, afferma la dottoressa Rosanna Cerbo, neurologa e esperta di terapia del dolore del policlinico Umberto I. “Questo sia perché gli obiettivi sono molto ambiziosi per essere realizzati in così poco tempo, sia per problemi economici, perché in un momento di crisi la terapia del dolore non viene considerata una priorità, soprattutto a livello ospedaliero. E il sistema non è ancora ben organizzato su base territoriale: alcune regioni non hanno ancora recepito la legge e questo si traduce nel fatto che la terapia non è garantita a tutti”.