Passare dalle partite a bordo campo alla savana. Questa la scelta di Stefania Rabotti, che dopo 15 anni di giornalismo sportivo ha realizzato il suo sogno di quando era bambina: fare la ranger in Africa. “Svegliarsi nel cuore della notte per il ruggito di un leone o il richiamo di una iena, sentire il cuore battere forte mentre ci guarda negli occhi un elefante – racconta la 52enne emiliana – Sono questi i dettagli della mia vita in Africa, quelli che mi hanno portato a fare questa scelta”.
Tutto inizia nel 2010 con il fallimento della testata giornalistica per cui Stefania lavora. “Constatato che non c’era alcuna possibilità di trovare altre opportunità nel mio settore”, a 47 anni Stefania è obbligata a ripensare alla sua vita. Tornano quindi in mente i desideri da bambina, quando diceva ai suoi genitori di volere andare in Africa a studiare gli animali. “Ho tirato fuori dal cassetto la mia laurea in Etologia e mi sono buttata in una nuova avventura”. I tasselli sembrano incastrarsi velocemente: in pochi mesi la scelta di partecipare ai corsi dell’Associazione italiana esperti d’Africa (AIEA). Quindi supera “il tostissimo esame per diventare guida di safari”. Poi l’abilitazione pratica in Kenya e Namibia. Da lì al trasferimento in Africa per vivere come ranger, il passo è breve. “Da un anno vivo a Malindi, in Kenya, ma presto potrei trasferirmi a Nairobi. Anche se comunque il mio lavoro è in savana e non in una città”.
Una scelta, quella di Stefania, che è stata supportata – se non inspirata – da quella di Simone, suo figlio 26enne che da quattro anni è ranger in Sudafrica. “Ci siamo influenzati a vicenda – continua la 52enne – Io gli ho trasmesso l’amore per la natura mentre lui ha scoperto i corsi per diventare guida professionista”. Di certo il turismo naturalistico in Africa non manca. Tanto che i guadagni di Stefania “sono in linea con quelli italiani”. Con il vantaggio che la vita “africana” costa decisamente meno che in Italia. L’elenco dei risvolti positivi che ha avuto la sua vita dopo il suo trasferimento in Kenya è lungo. “L’assenza di stress. Il silenzio della savana, circondata dai miei amati animali, fra tramonti mozzafiato e profumi della terra”. Affetti a parte, la ranger emiliana non fatica a individuare un solo lato negativo della sua nuova patria: “Forse la microcriminalità: rapine e furti in casa. Ma a pensarci bene, dove non è così al giorno d’oggi?”.
Quali sono quindi le caratteristiche di chi vuole diventare guida di safari? “Un infinito amore per l’Africa e grande rispetto per la natura – racconta Stefania – Senza volere imporre un pensiero che nulla ha a che vedere con quel mondo”. Da evitare, invece, secondo il presidente di Aiea Davide Bomben, “la scelta di questa carriera solo per motivi economici”. Anche se i numeri parlano chiaro – visto che il 70% delle persone che si sono brevettate trovano lavoro in un paese africano – diventare guida non è una diretta conseguenza del frequentare i corsi. “Ci vuole grande determinazione, spirito di sacrificio e un pizzico di coraggio”, conferma Stefania.
Dal 2011 oltre trenta persone lavorano in Africa grazie alle certificazioni ottenuta con i corsi Arena (Associazione romana per l’Ecoturismo e la natura africana), in collaborazione con Aiea. Una professione un tempo ricercata soprattutto da persone tra i 35 e i 45 anni, ma che sta cambiando target negli ultimi anni. “Complice la forte crisi che sta attraversando l’Italia, attualmente siamo letteralmente sommersi da richieste di studenti universitari e liceali”, continua Bomben.
Giovani che spesso sottovalutano la difficoltà della formazione per diventare guide di safari. Del centinaio di persone l’anno che iniziano questo percorso formativo, infatti, meno del 20% termina gli studi. “Sono corsi seri e complessi – continua il presidente di Aiea – adatti solo a chi vuole studiare e impegnarsi concretamente”. Una formula più semplice è quella della novella ranger emiliana: “Basta fare quel che ti piace e ti rende felice”.