Il miliardario ha anticipato che se non riuscirà a ottenere la nomination repubblicana potrebbe correre come candidato indipendente. La proposta sull'immigrazione clandestina: "Costruiamo un muro tra Usa e Messico". E su Hillary Clinton dice: "Non è stata capace di soddisfare suo marito. Come pensa di poter soddisfare gli americani, da presidente?"
Esplosivo. Contraddittorio. Polemico. Provocatorio. Donald Trump ha conquistato il centro della scena nel primo dibattito tra candidati repubblicani alla presidenza, organizzato e trasmesso da Fox News, e non l’ha più lasciato. I fuochi d’artificio dialettici dell’ex-costruttore e divo televisivo sono iniziati subito. Quando il moderatore Bret Baier ha chiesto se qualcuno dei presenti pensava di potersi presentare da indipendente alle presidenziali, nel caso di sconfitta alle primarie, Trump ha alzato entrambe le mani. Tra i fischi e le urla della folla, ha spiegato: “Se sarò il prescelto, prometto di non presentarmi come indipendente”. Come a dire, nel caso non dovessi vincere le primarie, potrei comunque correre alle presidenziali, senza un partito dietro di me.
Quello di Cleveland, il primo di una serie di dibattiti che condurranno alla scelta dello sfidante repubblicano per il 2016, è stato l’esempio perfetto di queste primarie repubblicane: confuse, caotiche, imprevedibili. Dietro la scena Reince Priebus, il chairman del Republican National Committee, assicurava di essere soddisfatto e che Trump non ci pensa proprio a spaccare il voto conservatore, “perché sa molto bene che non vincerebbe”. In realtà, l’impressione chiaramente percepita, al termine del dibattito, è quella di un processo di selezione di certo molto ricco, quanto a scelta, ma comunque estremamente farraginoso. Dei 17 candidati repubblicani, dieci erano presenti sul palco di Cleveland – gli altri 7, quelli meno forti nei sondaggi, avevano partecipato a un pre-dibattito nel pomeriggio.
Il senatore della Florida Marco Rubio e il governatore del Wisconsin Scott Walker sono, a detta di molti, quelli apparsi più a loro agio durante il dibattito. Non è andato male John Kasich, l’attuale governatore dell’Ohio, che ha mostrato doti di controllo sulle questioni più difficili e anche una certa empatia – a una domanda sulla sua opposizione ai matrimoni gay, Kasich ha risposto: “Sono appena stato al matrimonio di un amico gay. Perché la cosa più importante è l’amore anche verso ciò che non ci piace”. E non è andato male nemmeno Jeb Bush, il candidato amato dall’establishment repubblicano, il più capace di attrarre i finanziamenti dei ricchi e potenti, ma molto meno in sintonia con la sensibilità della base repubblicana. Molto meglio, rispetto ad altre volte nel passato, Bush è stato capace di distanziare se stesso da un cognome che pesa negativamente. “Sulla base di quello che abbiamo saputo in seguito, e non avendo fatto
della sicurezza una priorità della nostra azione militare, non avrei invaso l’Iraq“, ha detto Bush.
Ma è comunque un fatto che la serata è stata dominata dalla personalità di Donald Trump. Dopo l’inizio a effetto, Trump è andato avanti, incurante delle critiche degli altri candidati e dai tanti boo, mischiati ad applausi, che venivano dalla folla. Particolarmente duro è stato lo scontro con la moderatrice, Megyn Kelly, che gli ha chiesto conto di alcune espressioni usate nel passato nei confronti delle donne. “Le hai chiamate maiali grassi, animali disgustosi, sciattone, cagnacci”, ha detto la Kelly. Prima Trump ha cercato di giustificarsi, dicendo che si riferiva a Rosie O’Donnell, un’attrice e presentatrice con cui ha avuto diversi scontri nel passato. Quando la Kelly gli ha detto: “Mi spiace, non è così”, Trump ha risposto: “Ho detto ciò che ho detto, e se non ti piace, Megyn, non so cosa farci. Sono stato molto gentile con te, e forse non avrei dovuto esserlo, considerato come tu mi hai trattato… Uno dei problemi di questo Paese è la correttezza politica”.
Stessa mancanza di qualsiasi preoccupazione di apparire “corretto”, Trump l’ha mostrata in uno scambio proprio con Jeb Bush. All’ex-governatore della Florida, che gli rimproverava di essere una figura “che divide”, e dai “toni esagerati”, Trump ha replicato: “Quando hai della gente che taglia le teste dei cristiani, quando hai un mondo ai nostri confini che pare puro medioevo, non hai tempo per il tono, ma devi fare le cose”. Di fronte alla critica di essere un politico senza alcuna sostanza ideologica, di non essere un vero repubblicano ma soprattutto un opportunista – Trump nel passato ha finanziato le campagne dei Clinton e ha telefonato a Hillary Clinton per chiederle un parere sulla sua discesa in campo – il miliardario ha risposto: “Sono un uomo d’affari. Quando un politico chiama, io rispondo”.
Con il passare della serata, sono apparse sempre più evidenti le ragioni del successo di Trump in questa prima fase della campagna repubblicana – l’ex businessman guida nei sondaggi con il 23% dei consensi davanti a Jeb Bush, fermo al 13%. Trump offre al popolo delle primarie l’immagine di un politico “fuori della politica”, lontano dalle mediazioni e dai compromessi di Washington, un self-made man che non ha paura di dire quello che pensa, anche se quello che pensa è decisamente impopolare. “Risposte chiare a problemi complessi”, potrebbe essere lo slogan di Trump, che nelle scorse settimane ha agitato la scena politica di Washington con affermazioni come “Il Messico ci manda i suoi ladri e stupratori”, oppure “Hillary Clinton non è stata capace di soddisfare suo marito. Come pensa di poter soddisfare gli americani, da presidente?”. Uno dei problemi per Trump, nelle prossime settimane, sarà sicuramente quello della sostanza politica da dare alle sue affermazioni a sorpresa e politicamente “non corrette”. Su tutta una serie di questioni – cambiamenti climatici, politica internazionale, immigrazione – il candidato appare debole, a corto di politiche equilibrate e articolate. Alcuni giorni fa, alla domanda: “Qual è la sua strategia per combattere l’Isis?”, Trump ha risposto: “E’una strategia fantastica”.
Per il resto, il dibattito di Cleveland ha mostrato che su tutta una serie di temi, centrali per gli americani, i candidati repubblicani si trovano in scarsa sintonia con il centro, e la maggioranza, dell’elettorato. In questo davvero “l’effetto Trump”, con il suo appello demagogico e radicale, può aver contato. Sull’aborto, tutti i candidati repubblicani si sono mostrati inflessibili. Marco Rubio ha detto che “le future generazioni ci considereranno dei barbari per i milioni di bambini che abbiamo ucciso” e il governatore Walker ha spiegato di essere contrario all’aborto anche in caso di stupro, incesto e rischio di vita per la madre (una posizione che configge con l’83% degli americani). Stessa chiusura i candidati repubblicani hanno mostrato nei confronti dell’immigrazione. Sollecitati dalla propaganda di Trump, praticamente tutti i candidati – anche quelli come Rubio e Bush che nel passato si sono dichiarati per una riforma comprensiva dell’immigrazione – si sono invece concentrati sulle misure di polizia da prendere nei confronti degli illegali alla frontiera. Una strategia che allontana il voto ispanico e che rischia di far perdere Stati essenziali come il New Mexico, la Florida, il Nevada e il Colorado.