L’Italia è il Paese con la più alta probabilità di uscire dall’euro

Come lo chiami un Paese che è cresciuto del 4,6% – in totale – dal momento in cui è passato all’euro, 16 anni fa? Beh, forse quello con più probabilità di abbandonare la moneta unica. O, in breve, Italia.

È difficile dire cosa sia andato storto con l’Italia, perché niente è mai andato per il verso giusto. È cresciuta del 4% durante circa il primo anno nell’euro, ma quasi per niente nei 15 anni successivi. Ora, non vuol dire che la crescita sia rimasta invariata per tutto il tempo. Non è così. L’Italia è cresciuta del 14% da quando ha adottato l’euro, prima che la crisi del 2008 e la doppia recessione del 2011 cancellassero gran parte di quel progresso. Ma a differenza della Grecia, ad esempio, non c’è mai stato un vero e proprio boom. C’è stata solo una frenata. Il risultato, però, è stato lo stesso. La Grecia e l’Italia sono entrambe cresciute di un misero 4,6% negli scorsi 16 anni, nonostante abbiano seguito strade drasticamente diverse per arrivare a questo risultato.

Una parte del problema sta nel fatto che l’Italia, come indicato dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), ha seri problemi strutturali. È difficile aprire un’attività, difficile ampliarla, è difficile licenziare, il che rende i datori di lavoro diffidenti nell’assumere a priori. Tutto ciò ha portato ad una distopia di piccole imprese, in cui nessuno può raggiungere il tipo di economia di scala che lo renderebbe più produttivo. Ma, allo stesso tempo, l’Italia ha sempre avuto problemi simili, anche prima che arrivasse l’euro, e allora riusciva comunque a crescere. Quindi, parte del problema è l’euro stesso. È troppo caro per gli esportatori italiani e troppo restrittivo per il governo, che ha dovuto tagliare il proprio budget ancor più di quanto avrebbe dovuto.

Non che questo renda l’Italia unica – l’euro ha colpito anche i Paesi meglio amministrati – ma di sicuro i populisti italiani se ne sono resi conto. Perché? Beh, prima di tutto, la moneta unica ha portato all’Europa un serio caso di dissonanza cognitiva. La gente detesta l’austerità, ma ama l’euro anche di più – ha un attaccamento emotivo a tutto ciò che esso rappresenta. Il problema, però, è che è proprio l’euro il motivo per cui devono tagliare così tanto i propri budget (almeno finché la Banca Centrale Europea continuerà a costringere le banche a chiudere se non lo fanno). Così, i partiti contrari all’austerità hanno ritenuto di dover promettere l’impossibile se davvero vogliono ottenere un po’ di potere: mettere fine ai tagli, senza uscire dall’euro. Ma, come ha avuto modo di scoprire il partito Syriza in Grecia, questa strategia, se così la si vuol chiamare, non fa altro che fornire aspettative irrealistiche al proprio popolo, e nessun buon motivo all’Europa per aiutarlo. Gli altri Paesi, dopotutto, non vogliono premiare quello che, dal loro punto di vista, è un pessimo comportamento di bilancio, se non un vero e proprio ricatto. E così alla Grecia è stato dato un ultimatum: lasciare l’euro o applicare ancora più austerità di quanto avrebbe dovuto fare originariamente. E ha scelto l’austerità.

La lezione è stata chiara. Non eleggere partiti contrari all’austerità, o le cose si faranno ancora più complicate. Ma, almeno in Italia, partiti del genere hanno imparato la lezione opposta: non escludere a priori l’ipotesi di lasciare l’euro, o le cose non miglioreranno mai. Beppe Grillo, il comico fattosi politico a capo del secondo partito più popolare, il Movimento Cinque Stelle, è passato dall’essere un euro-scettico accennato ad uno dichiarato. Ha scritto che il “rifiuto di uscire dall’euro” del Premier greco Alexis Tsisprasè stata la sua condanna a morte,” e che l’Italia dovrebbe usare il proprio debito “come un vantaggio per mettersi in offensiva in qualsiasi negoziazione futura.” Si tratta del vecchio detto: se devi alla banca 100 euro è un tuo problema, ma se gliene devi due biliardi il problema è della banca.

Quanto a problemi, è uno bello grosso. Non sarebbe poi così grande, però, se l’Italia cominciasse di nuovo a crescere. Maggiori introiti si tradurrebbero in un debito pubblico più basso, e, di conseguenza, minor austerità. Ma è difficile immaginare come potrebbe succedere. Il governo italiano deve ancora ridurre il suo budget, e le aziende devono ancora tagliare i costi per rendersi più competitive; due cose che mineranno la crescita nel breve termine. E, nel frattempo, il partito anti-austerità italiano è l’unico in Europa pronto ad evidenziare che l’imperatore non cresce. Le persone potrebbero capire che è vero.

Articolo originale di Matt O’ Brien apparso su The Washington Post il 30 luglio 2015

Traduzione di Noemi Alemanni e Sara Angelucci per ItaliaDallestero.info

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