Il partito valuta la modifica dello statuto dei gruppi parlamentari per arginare le voci contrarie alla linea e dissinnescare le trappole alle riforme sulla strada della maggioranza. La senatrice civatiana Ricchiuti: "C’è chi nel Pd va in giro a sostenere che i grillini sono una setta e poi facciamo esattamente come loro?"
Il campo di guerra è sempre il “Vietnam” di Palazzo Madama. Dove sta per andare in scena la madre di tutte le battaglie della riforma costituzionale. E dopo l’incidente della settimana scorsa che ha sottratto al governo la delega sul canone Rai e l’annuncio che la minoranza presenterà un emendamento sul Senato elettivo al ddl Boschi, la maggioranza del Partito democratico serra i ranghi. Basta distinguo: la minoranza interna deve adeguarsi con le buone o con le cattive. Per questo gli ultrà renziani, come scritto da il Messaggero nei giorni scorsi, stanno pensando ad una nuova arma: la riforma dello statuto dei gruppi parlamentari. Riscrivere, in sostanza, i regolamenti interni per imporre alla minoranza la linea ufficiale dettata dal Nazareno e disinnescare ogni possibile trappola disseminata dai dissidenti sul percorso della maggioranza. “Così finiremmo come il Movimento 5 Stelle, dove chi dissente viene sbattuto fuori. C’è chi nel Pd va in giro a sostenere che i grillini sono una setta e poi facciamo esattamente come loro?”, si chiede stupita la senatrice ‘civatiana’ Lucrezia Ricchiuti.
BAVAGLIO ALLA MINORANZA – Niente di ufficiale per ora. Ma l’idea è chiara: si discute in assemblea tra i senatori del Pd, si vota e ci si adegua al verdetto. “Ho raccolto da qualche senatore una esigenza di questo tipo”, conferma a Ilfattoquotidiano.it Nicola Latorre, ex braccio destro di D’Alema poi renziano dell’ultima ora. “Allo stato attuale, però, non c’è nulla di questo all’ordine del giorno”, precisa il senatore dem. Se ne riparlerà dopo la pausa estiva, quando gli incidenti di percorso potrebbero costare caro alla tenuta dell’esecutivo alle prese con la delicata materia della revisione costituzionale. E’ allora che la questione potrebbe finire all’ordine del giorno del gruppo di Palazzo Madama sulla scia di quanto sta già avvenendo a Montecitorio, ma senza particolare fretta. Perché il vero tallone d’Achille del Pd è proprio il Senato, per l’incertezza dei numeri e la precarietà degli equilibri. “Alla Camera è stato già istituito un gruppo di lavoro, che comprende deputati delle varie aree del partito, per la riforma dello statuto interno al gruppo. In quel contesto si può decidere qualche modifica sul regolamento. Ma tutto avverrà alla ripresa dei lavori”, ricorda un autorevole esponente della segreteria dem. Che aggiunge: “Abbiamo già sottoscritto, al momento della candidatura del 2013, un documento in cui ci impegnavamo a rispettare le posizioni del partito, con l’eccezione delle questioni di coscienza”.
OPPOSIZIONE SUGLI SCUDI – Ragionamento che, però, ha un limite di fondo. All’epoca il segretario dem era Pier Luigi Bersani e il Pd era alleato con Sel. Insomma, un’era geologica fa. Senza contare che gli “impegni” presi dalle pattuglie parlamentari del Nazareno vertevano su un altro programma rispetto a quello portato avanti dal governo Renzi. Non solo: come più di qualcuno sussurra nei corridoi di Palazzo Madama, c’è anche il nodo dei possibili profili di incostituzionalità ai quali una norma di questo tipo, sebbene di natura regolamentare, andrebbe incontro per il potenziale conflitto con l’articolo 67 che esclude il vincolo di mandato per i parlamentari. “I parlamentari votano in libertà, è una garanzia costituzionale. Certo, bisogna rispettare la vita di un gruppo, ma non c’è il vincolo di mandato, ci mancherebbe altro”, prosegue la dissidente Ricchiuti. Tra gli esponenti della minoranza dem, i veri destinataria di una riforma che sa tanto di giro di vite, sebbene in assenza di comunicazioni ufficiali, regna comunque lo stupore. “Di solito queste cose vengono decise nell’ufficio di presidenza, di cui faccio parte. Sono certa che non è stato convocato” fa notare la senatrice del Pd. “Comunque ormai non mi meraviglierebbe più nulla. Una domanda, però, andrebbe posta: il rispetto del voto dovrebbe essere applicato anche a temi come le unioni civili e il caso Azzollini?”, aggiunge con una punta di sarcasmo.
RISCHIO IMPLOSIONE Così, mentre la tanto sbandierata riforma dei regolamenti parlamentari giace impantanata a Montecitorio tra i veti incrociati delle forze politiche, tra i senatori dem è la possibile modifica di altri regolamenti, quelli dei gruppi appunto, ad alimentare ulteriori focolai di sconto tra le ali contrapposte del partito. Ancora più ruvida la reazione di Corradino Mineo, altro dissidente dem a Palazzo Madama: “Non ne so nulla. Così come è stata descritta mi sembra una follia, una roba senza senso. Credo che se qualcuno pensasse di imporre la disciplina di partito, sarebbe un suicidio totale, un gesto politico finale. Staremo a vedere”. Insomma, è la conferma di un’aria ormai irrespirabile nel Pd, con i renziani che sono preoccupati dalle imboscate sullo stile della riforma Rai, e la minoranza che, dopo le minacce a mezzo stampa, sta passando ai fatti. Un clima da resa dei conti, insomma, che un senatore dem fotografa alla perfezione con una battuta: “Ho l’impressione che siamo alla canna del gas”.
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