L'ex Capo dello Stato ha scritto al Corriere della Sera firmandosi emerito presidente della Repubblica e chiedendo che non si "disfi la tela" sul ddl Boschi. Il suo successore ha interpretato il suo ruolo come quello di chi non deve "straripare dai confini"
Al Quirinale, giovedì mattina (6 agosto ndr), ha suscitato varie riflessioni (non prive – sostengono i più maligni – di qualche perplessità o dubbio), la lettura del Corriere della Sera. In prima pagina il quarto intervento da aprile (due lettere e due interviste), sempre sul quotidiano di via Solferino, di Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica nonché senatore a vita con studio a Palazzo Giustiniani. Rispetto alle precedenti uscite, imperniate su politica estera e Resistenza, stavolta Napolitano nella sua missiva al quotidiano simbolo del “salotto del capitalismo bene” (copyright il diversamente renziano Orfini) ha preso di petto la questione delle riforme ad appena una settimana dal sobrio intervento di Sergio Mattarella, di tutt’altro stile, alla sua prima cerimonia del Ventaglio da capo dello Stato, il 30 luglio scorso al Quirinale.
Sin dal titolo, il tono dell’Emerito riecheggia i passati “moniti” del Napolitanistan: “Non si può tornare indietro sulla riforma del Senato”. Il manoscritto di Re Giorgio è una chiusura netta all’ipotesi di tornare a un’assemblea elettiva di Palazzo Madama ed è improntato al tipico realismo togliattiano di Napolitano: “La riforma non va stravolta”. Va, insomma, approvata così com’è.
La prima riflessione suscitata negli ambienti del Quirinale riguarda innanzitutto la forma. L’intervento è, infatti, firmato da Napolitano non come senatore a vita ma da “presidente emerito della Repubblica”. La differenza è evidente. Soprattutto dopo che la scorsa settimana Mattarella, anche sulle riforme istituzionali, ha sentito l’esigenza di precisare: “Io ho le mie opinioni, ma ho il dovere di accantonarle”. Il passaggio è cruciale e potrebbe anche aprire un dibattito di natura costituzionale sulle due figure. Da un lato un presidente in carica, che fa l’arbitro e tiene per sé le sue considerazioni. Dall’altro un Emerito che “straripa dai propri confini” (altra citazione mattarelliana dal discorso del Ventaglio, anche se non direttamente o esplicitamente riservata al proprio predecessore). Chi pesa di più?
La figura del presidente emerito non esisteva fino al 1998, quando venne istituita con un decreto della Presidenza del Consiglio. Successivamente, nel 2001, all’Emerito fu anche assegnato uno stendardo presidenziale, quadrato, con un rombo bianco al centro e gli angoli rimanenti del quadrato di colore rosso e verde, a formare il tricolore. Il punto, dunque, è questo. Perché Napolitano, quando si tratta di interventi prettamente politici, non rinuncia alla qualifica di “emerito” per quella più consona di “senatore a vita”?
La seconda riflessione, più politica, discende ovviamente dalla prima. Napolitano rileva che “non è pensabile che si torni indietro” ed entra più volte nel merito delle riforme costituzionali del ministro Boschi. Fa anche un appello finale perché “modifiche e puntualizzazioni utili e non dirompenti” non cedano il passo a “contrapposizioni politiche distruttive e puri artifizi polemici”.
Chiaro il riferimento alla minoranza del Pd. Ecco invece Mattarella il 30 luglio scorso: “Mi auguro che il processo di riforma in itinere vada in porto dopo decenni di tentativi non riusciti. Naturalmente non entro nel merito delle scelte che appartengono soltanto al Parlamento nella sua sovranità, ma mi auguro che questo processo vada in porto”.
Il capo dello Stato non indica in quale modo debba concludersi questo “processo”, a differenza di Napolitano. E nel suo ruolo di arbitro è pronto ad accettare anche un altro risultato della “partita”, qualora si tornasse al Senato elettivo. Anche qui, la diversità delle due posizioni è lampante. Senza dimenticare, ancora, che Mattarella nel suo discorso di una settimana fa ha tracciato una metafora critica sull’attuale premier Matteo Renzi, poi temperata dalla promessa di non intervenire sulle riforme: “Nessuno, tantomeno il presidente della Repubblica, che non ha poteri di scelta politica, è, per usare una metafora, un uomo solo al comando”.
Riletta oggi può valere anche per il passato, quando il suo predecessore al Quirinale, dal 2011 in poi, è stato davvero “un uomo solo al comando”. E chissà che le annunciate dimissioni di Napolitano, a inizio dell’anno, non siano state la presa d’atto di una convivenza impossibile tra due uomini soli al comando, lui e Renzi. Ma adesso, di convivenza problematica, sembra esserci quella tra i due presidenti, all’opposto di quella tra i due papi. Perché Ratzinger conduce una vita ritirata. Napolitano, no. Ora c’è l’Emeritocrazia.
da il Fatto Quotidiano del 7 agosto 2015