Nelle loro bacheche ci sono Mondiali, Champions League, Scudetti, trofei internazionali e nazionali. Ma per questa stagione non hanno trovato (o non hanno voluto cercare) una squadra
Prima che la neolingua renziana stabilisse che il gufo è chi non crede alla ripresa del paese sotto le abili direttive del governo in carica, il simpatico pennuto era utilizzato per descrivere quegli allenatori, a spasso a inizio stagione, che aspettavano solo la caduta o il fallimento di un collega per occuparne il posto sulla panchina.
Anche per la stagione 2015-16 abbiamo contato almeno tredici gufi, o tecnici senza squadra, ognuno con i suoi motivi tra anni sabbatici, stagioni fallimentari, carriere in declino o semplice attesa del progetto giusto o della chiamata che non è ancora arrivata. Alcuni faranno presenza in tribuna, altri attenderanno negli studi televisivi, pochi potranno permettersi di aspettare tranquilli. Rimanendo in Italia, tra Carlo Ancelotti, Fabio Capello, Marcello Lippi, Cesare Prandelli, Luciano Spalletti, Roberto Donadoni, Walter Mazzarri, Andrea Stramaccioni, Vincenzo Montella, Francesco Guidolin, Luigi Del Neri, Roberto Di Matteo e Filippo Inzaghi abbiamo contato in bacheca qualcosa come 1 Mondiale, 20 campionati nazionali, 6 Champions League e una ventina di trofei nazionali e internazionali.
Cominciamo da Ancelotti, che da tecnico ha portato a casa qualcosa come 16 trofei (tra cui 3 Champions, record in coabitazione con Bob Pasley, e 3 campionati con Milan, Psg e Chelsea). Dopo aver vinto la decima con il Real, una stagione a secco ha fatto sì che Florentino Perez gli desse il benservito. Mai troppo attratto dalla prospettiva di tornare al Milan, club allo sbaraglio rispetto ai suoi anni vincenti, si è preso un anno sabbatico e dalla prossima stagione siederà sulla panchina di un top club europeo (Bayern?).
Situazione diversa per gli altri due big, Capello e Lippi. Il tecnico friulano, dopo quasi dieci anni ricchi di stipendio e avari di successi sulle panchine delle nazionali di Russia e Inghilterra, potrebbe forse essere tentato da una panchina per il Mondiale 2018 prima di lasciare. L’eroe di Berlino anche lui fuori dal giro da un po’ dopo la vittoriosa parentesi cinese al Guangzhou, o trova la nazionale giusta o, come ha dichiarato lui stesso, un posto dirigenziale: la panchina lo ha stancato.
Non siede su una panchina dal marzo 2014, dopo che lo Zenit con cui aveva vinto 2 campionati e varie coppe lo ha esonerato, anche Spalletti, pronto invece a tornare in gioco: stipendio e ambizioni personali lo farebbero però optare solo per una grande squadra, in Italia o all’estero. Non può pretendere più di tanto invece Prandelli. Dopo essere stato esaltato senza mai avere vinto nulla, e avere fallito gli ultimi cicli con Nazionale e Galatasaray, per tornare in corsa deve abbassare le pretese. Lo stesso può dirsi di Mazzarri, la cui considerazione di sé dopo un crescendo con Reggina, Samp e Napoli e il brutto stop all’Inter è forse più alta di quella che hanno di lui gli addetti ai lavori. Al polo opposto invece Montella, tecnico giovane e in ascesa che sembrava in procinto di lasciare Firenze perché in accordo con grandi squadre, e invece si è ritrovato a spasso. Per loro, come per Donadoni dopo Parma, non dovrebbe essere difficile trovare una panchina durante la stagione. Saranno tra i primi a essere interpellati.
Difficile invece considerare più di un ripiego Stramaccioni, enfant prodige nelle giovanili di Roma e Inter si è un po’ bruciato da allenatore della prima squadra nerazzurra, e anche l’ultima stagione all’Udinese non è andata alla grande. Per ora lo vedremo in tv. Nella sua situazione Del Neri, al miracolo Chievo sono seguite stagioni mediocri – parentesi sampdoriana esclusa – ed è fermo oramai da due anni.
Dopo quattro anni a Udine ha invece saltato solo la scorsa stagione Guidolin, la cui Coppa Italia vinta col Vicenza nel 1997 resta un capolavoro. Si parla di tanti anni fa però. E come nel caso di Del Neri neppure lui può essere considerato una prima scelta. Ma una panchina la troveranno facilmente. Poi due casi antitetici e curiosi. Da una parte Inzaghi, che dopo la disastrosa stagione al Milan non si capisce se continuerà a fare l’allenatore o meno. Dall’altra Di Matteo la cui carriera non più che discreta tra West Bromwich e Schalke è impreziosita dalla gemma della Champions vinta col Chelsea. Entrambi giovani, ottimi ex calciatori, devono ancora trovare la loro dimensione da tecnico.