Il 29enne morì nel 2003 in carcere a Livorno: la causa, secondo le indagini archiviate del 2004 e del 2010, fu "un infarto". Ma per la madre Maria Ciuffi è stato un pestaggio a ucciderlo. Ora niente rinvio a giudizio per il medico legale che effettuò l'autopsia. Disposti però nuovi approfondimenti per i due dottori del carcere
Ancora un’archiviazione nella storia del caso Lonzi, il 29enne morto l’11 luglio 2003 all’interno della casa circondariale “Le Sughere” di Livorno. Secondo le inchieste archiviate del 2004 e il 2010, il giovane sarebbe deceduto a seguito di un infarto, ma per la madre è stato “picchiato a sangue dalle guardie carcerarie”. Nel maggio 2013 Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, presentò un esposto ai carabinieri di Pisa per chiedere di far luce sulle operazioni di soccorso e sull’esame autoptico: nel mirino il medico legale Alessandro Bassi Luciani che effettuò l’autopsia e i due dottori del carcere Gaspare Orlando e Enrico Martellini, da lei accusati di “fatali imperizie e innumerevoli omissioni”.
Secondo Ciuffi l’operato di Bassi Luciani – si legge negli atti – avrebbe “reso estremamente difficile o impedito la ricerca della verità da parte delle autorità inquirenti”. Il gip del tribunale di Livorno Beatrice Dani, spiega Ciuffi a ilfattoquotidiano.it, ha però deciso di accogliere la richiesta del pm Antonio Di Bugno di archiviare la posizione del medico legale. Disposte invece ulteriori indagini per far luce sulle operazioni di soccorso: “Saranno sentite altre persone: si vuol capire ad esempio se fosse presente o meno un defibrillatore“.
La 63enne non è disposta a fare alcun passo indietro: “Un’altra delusione, ma non mollo. Sono 12 anni che lotto, ho diritto a un processo per far davvero luce su quanto avvenne quella maledetta notte in carcere”. La donna tira nuovamente in ballo le foto choc del cadavere del figlio, che lo scorso novembre espose pure davanti alla Camera: “Come si può dire che Marcello sia morto per cause naturali? Otto costole rotte, due buchi in testa, il polso sinistro, lo sterno e la mandibola fratturata: a ridurlo così furono le guardie. Venne pestato”.
La decisione del gip è arrivata dopo che nel marzo 2014 vennero respinte le richieste d’archiviazione avanzate dal pm e dopo aver disposto nuove indagini. La madre di Lonzi non si dà pace e punta ancora il dito contro Bassi Luciani: “Al termine dell’autopsia scrisse che le costole rotte erano due, ma a seguito della riesumazione del cadavere nel 2006 ne individuammo ben otto. E poi non fece alcun accenno al polso rotto. Non ha detto ciò che in realtà vide: ha scritto il falso“. Sulle operazioni di soccorso il gip chiede ulteriori approfondimenti: “Mio figlio doveva esser portato subito in ospedale invece lo hanno lasciato per troppo tempo a terra agonizzante: quando è arrivata l’ambulanza era già morto”.
Lonzi, allora 29enne con problemi di tossicodipendenza, era entrato in carcere il 1 marzo 2003 per scontare 9 mesi di reclusione per tentato furto: “Venni avvertita della sua morte solo 12 ore più tardi. Quando arrivai in ospedale – prosegue la madre – gli stavano già facendo l’autopsia. Lo rividi solo il giorno successivo nella bara: mi accorsi subito che aveva due buchi in testa e varie escoriazioni“. Da quel momento iniziò la battaglia nelle aule giudiziarie. Nel 2004 il gup Rinaldo Merani accoglie la richiesta d’archiviazione nel procedimento aperto a carico di ignoti.
Nel 2006 la madre ottiene la riesumazione della salma e l’inchiesta viene riaperta: nel mirino finiscono il compagno di cella Gabriele Ghelardini (l’accusa è omicidio preterintenzionale) e i due agenti penitenziari Alfonso Scuotto e Nicola Giudice (omicidio colposo). Per Ciuffi però arriva un’altra doccia fredda: nel 2010 viene nuovamente disposta l’archiviazione.
Le parole del gip Merani sono chiare: “Non ci sono responsabilità di pestaggio del detenuto Lonzi – scrive – né da parte della polizia penitenziaria, né di terzi. Lonzi è morto per un forte infarto“. I consulenti tecnici del pm – si legge negli atti – evidenziarono anzi in Lonzi “problematiche di tipo cardiaco”. Le fratture costali sarebbero invece “compatibili con le manovre rianimatorie effettuate prima della morte”. Nel 2011 la Cassazione nega la riapertura del processo e nel 2012 la Corte di Strasburgo dichiara irricevibile il ricorso. La lotta della madre però va avanti. Ciuffi nei prossimi mesi potrebbe decidere di presentare nuovi esposti. Intanto sulla sua bacheca Facebook posta una delle foto del cadavere del figlio con evidenti ferite alla testa: “Più la guardo, più mi mette forza”.