Certo che ne ha fatta di strada Roberto Calderoli da quanto nel 2010, da Ministro per la semplificazione normativa dava alle fiamme, nel cortile di una caserma dei pompieri di Roma tonnellate di scatoloni contenenti le stampe di 375 mila leggi ad oggi che, da Senatore della Repubblica, minaccia di far letteralmente crollare Palazzo Madama presentando e chiedendo di stampare oltre 500 mila emendamenti al disegno di legge di riforma costituzionale che, dopo la pausa estiva, dovrebbe essere votato al Senato.
“Produrrò tanta carta da mettere a rischio la stabilità del Palazzo e poi chiederò una perizia”. Ha detto qualche giorno fa. E quella del Senatore leghista non è una boutade di inizio estate ma un’autentica strategia di ostruzionismo parlamentare che affonda le sue radici in una previsione del Regolamento che governa i lavori del Senato e che prevede che ogni emendamento presentato sia “stampato e distribuito” a ciascuno dei Senatori. Un Regolamento che Calderoli conosce bene, occupando una delle dieci poltrone della Giunta per il Regolamento di Palazzo Madama. E a conferma della maligna genialità della trovata del Senatore leghista, proprio ieri il Presidente del Senato, Pietro Grasso è stato costretto ad ammettere che, per rendere possibile la ripresa dei lavori sul disegno di legge di riforma costituzionale, 150 dipendenti del Senato, dopo aver rinunciato alle ferire, dimostrando “grande dedizione al lavoro”, dovranno lavorare agli emendamenti durante l’estate.
E non basta perché secondo i primi calcoli la stampa e distribuzione di tutti gli emendamenti al disegno di legge di riforma costituzionale – in massima parte presentati proprio da Calderoli – dovranno essere raccolti in cento tomi da mille pagine e 250 chili ciascuno e costeranno alle casse del Senato quasi un milione di euro. Una storia di mala-burocrazia di inizio estate che ha dell’incredibile e la dice lunga sulla fragilità del nostro sistema democratico. Sembra, infatti, assurdo che nel 2015 il funzionamento del Senato della Repubblica possa essere messo in crisi – e, anzi, quasi, paralizzato – da regole che impongono la “stampa e la distribuzione” a ciascuno dei Senatori, di tonnellate di carta che, naturalmente, nessuno sfoglierà mai, salvo, forse, chi vi sarà costretto, per dovere d’ufficio e, comunque, lo farà in versione digitale, l’unica che consenta di navigare tra le centinaia di migliaia di proposte presentate dal Senatore leghista. Eppure a scorrere – in versione digitale – le quasi cinquecento pagine del Regolamento del Senato, mentre la parola “stampa” [e suoi derivati] compare oltre cinquanta volte, quella “digitale” non compare mai.
Possibile che le leggi, nel 2015, si debbano proporre, discutere, emendare e varare attraverso processi sostanzialmente identici a quelli che si usavano quando è stato istituito il Senato? Possibile che nessuno, sin qui, abbia pensato di modificare il Regolamento, prevedendo, a caratteri cubitali, un divieto assoluto di stampare ogni documento o atto destinato ad essere esaminato dai Senatori, stabilendo che debba necessariamente essere prodotto in digitale ed inviato per via elettronica? L’ultima storia che rimbalza dall’aula di Palazzo Madama sembra una sorta di pena del contrappasso di dantesca memoria: governanti e legislatori, sin qui, pigri nel guardare al futuro ed al digitale, costretti a rallentare la corsa ed a veder infranti sogni e speranze per colpa di muri di carta e burocrazia che disegnano un labirinto dal quale sembra impossibile uscire. Ed è a carta e burocrazia fatta di carta che si frappongono tra il Paese ed il futuro che Paolo Barberis, Consigliere per l’innovazione del Primo Ministro, pensa come ai più temibili nemici da sconfiggere se si vuole davvero far salire l’Italia – come meriterebbe – sul treno che porta al futuro. “Vincere la battaglia contro carta e burocrazia, è un fatto – dice Barberis – di cultura, di modo di pensare e di lavorare, un problema di processi da ripensare e sistemi e piattaforme da ridisegnare”.
Impossibile dargli torto. Ma, intanto, cosa fare per portare il disegno di legge di riforma costituzionale fuori dal guado di carta nel quale Calderoli minaccia di farlo sprofondare? La soluzione, in realtà, ci sarebbe. Il Codice dell’Amministrazione digitale, infatti, prevede, da oltre un decennio, che ciò che si può o deve fare utilizzando documenti di carta si possa fare anche utilizzando documenti informatici e firme elettroniche. Visto che tutti i senatori hanno un indirizzo email istituzionale e visto che gli emendamenti nascono in digitale, anziché stamparli, basterebbe farli firmare digitalmente e recapitarne una copia in formato digitale nella mail box di ogni Senatore. Si risparmierebbe un milione di euro e tanta fatica al personale del Senato, non si violerebbe nessun Regolamento e si consentirebbe al Senato di lavorare in modo più efficiente. E se proprio qualcuno dovesse obiettare che il Regolamento prevede che gli emendamenti siano “stampati e distribuiti”, se ne potrebbe sempre stampare una copia ed estrarne poi centinaia autentiche e digitali – sempre a norma di legge – da inviare a tutti i Senatori. O, ancora, potrebbe chiedersi ai singoli Senatori se preferiscono ricevere una copia digitale del mezzo milione di emendamenti firmati da Calderoli o se proprio la vogliono di carta, consapevoli però di rendere, per questa via, meno efficiente il lavoro del Senato e di gravare per diverse centinaia di migliaia di euro sulle tasche degli italiani. Gli strumenti, insomma, non mancano. Il problema è se e quanto si ha per davvero voglia di cambiare verso. Un Senato che usa il digitale per uscire da un impasse che ha poco a che vedere con la democrazia, sarebbe un bell’esempio per il Paese e lascerebbe ben sperare per il futuro.