I favoriti erano i due spagnoli Jorge e Marc e lo hanno confermato anche in gara. Realizzato il nuovo record del tracciato: 1'32''625
C’è chi diceva Jorge Lorenzo e chi Marc Marquez. In ogni caso, i favoriti sul circuito di Indianapolis erano senza dubbio i due spagnoli. Fra di loro in griglia di partenza c’era soltanto Dani Pedrosa, grazie soprattutto ad una Q2 gestita benissimo. Ma il passo dei suoi due connazionali era tutt’altra cosa. Lo avevano dimostrato fin dalle prove libere del venerdì. E lo hanno confermato anche in gara.
MOTOGP. Marquez parte in pole position, forte di quell’1’31”884 in qualifica che gli regala 302 millesimi su Lorenzo. Jorge sa di poterne, anzi doverne approfittare. Perché Valentino Rossi è davvero in difficoltà. E nonostante gli sforzi scatta solo dalla terza fila, ottavo in griglia. Poi i semafori si spengono, e in un giro e mezzo il Dottore riesce a lasciare dietro di sé il traffico che lo separa dalla testa della corsa. L’obiettivo reale è Dani Pedrosa. Lorenzo e Marquez sono quasi a un secondo dal 26 della Hrc, e girano su ritmi altissimi. Un passo che mantengono fino alla fine. Riuscendo perfino a firmare prima il giro veloce a quattro giri dal termine (Lorenzo), e poi il record della pista in 1’32”625, due decimi sotto il precedente (che era già di Marquez).
Valentino può solo guardare, e nemmeno da vicino. Tutto sommato, però, a Rossi meglio di così non poteva andare. Negli occhi del Dottore, di Indy 2015 rimarranno almeno tre momenti: la facilità con la quale Marquez ha tallonato Lorenzo e lo ha infilato quando voleva; il ritorno definitivo di Pedrosa nelle posizioni che contano, cosa che a Valentino (e Jorge) potrà dare molto fastidio; la consapevolezza che “sia meglio che Marquez abbia vinto, ma a lungo termine chi lo sa… L’importante è che non si abitui, perché più Marc prende confidenza in se stesso, più sarà difficile batterlo”. In fondo, sono parole sue. Ed è proprio così. Perché se la certezza è che il Dottore non può più permettersi di andare così piano nelle prove libere e di sbagliare nelle qualifiche, altrettanto notevole è la rimonta che lo ha portato dall’ottava casella in griglia al terzo gradino del podio. Il suo decimo di fila. Un podio che rispecchia quello del 2014, con Marquez, Lorenzo e poi Rossi. Quando sembra che non sia cambiato niente. E invece è cambiato tutto.
MOTO2. Diversa dal solito è stata anche la Moto2. Una categoria che in termini di fascino sconta qualche limite dettato dal regolamento, ma alla quale in fondo basterebbe avere qualche italiano in più per guadagnare seguito anche nel nostro Paese. Per adesso ci deve pensare Franco Morbidelli con la sua Kalex del team Italtrans. In prospettiva, il pilota classe ’94 della VR46 Riders Academy è sicuramente il miglior talento che abbiamo in questa categoria. A lui si deve l’aver rivisto il tricolore sul podio della Moto2 dopo più di un anno di assenza (l’ultimo era stato Simone Corsi, terzo nel GP di Germania dell’anno scorso).
MOTO3. La più piccola delle tre classi ha riservato la gara più rocambolesca, con i piloti uno dopo l’altro ai box a cambiare le gomme da bagnato per montare quelle da asciutto. Così può sembrare strano vedere Romano Fenati scendere dalla propria Ktm, carico di adrenalina, per incitare i meccanici che montano le slick sulla stessa moto che fino a pochi secondi fa era in pista. Succede perché il regolamento della Moto3 non prevede una seconda moto, e nemmeno le gomme intermedie. Fenati chiude ai piedi del podio, dietro gli unici tre (Livio Loi, John McPhee e Philipp Oettl) che erano partiti con le gomme da asciutto. Ci voleva coraggio.