Dev’essere sconfortante dover partecipare ad una delle riunioni convocate da Renzi: sentirsi dire, senza poter battere ciglio, che il corso della storia coincide con la sua agenda politica non può che portare sconforto a chiunque abbia contezza delle urgenze ambientali e sociali che ci stanno cadendo addosso.
Ad esempio, il Papa, Obama (vedi gli ultimi post su questo blog), un’alleanza delle 24 principali istituzioni scientifiche britanniche guidate da Nichola Stern, i sindaci di tutto il mondo riuniti a Roma il 15 luglio, i movimenti popolari accorsi in Bolivia, hanno lanciato il loro grido di allarme contro il probabilissimo superamento di 2°C della temperatura della terra.
L’opinione pubblica mondiale, i media e la società civile sono ora molto più impegnati e vi è una maggiore attenzione e pressione sui governi a mettere da parte gli interessi nazionali egoistici e sta nascendo un solido consenso per un cambiamento del trattato sul clima, per mitigare l’estrema gravità del degrado del nostro pianeta come risultato delle attività umane. Questa crescita di consapevolezza politica ed etica dovrebbe portare i governi ad intervenire sulle strategie energetiche e sulla politica industriale con benefiche ricadute sull’occupazione, in coerenza con un cambio profondo del modello fin qui perseguito. Ne sentite mai parlare negli innumerevoli report televisivi sulle esternazioni e gli immancabili tweet del premier?
Dato che i sette Paesi più grandi particolarmente responsabili delle emissioni attuali (Cina, Usa, Ue, India, Russia, Giappone e Canada), devono affrontare questo problema e sono consapevoli del fatto che l’umanità non può accettare ancora una volta la loro incapacità di agire, perché non affrontare anche in Italia questo decisivo passaggio, con trasparenza e concretezza, invece di dedicarsi giornalmente alle nomine dei manager e dei dirigenti che sequestreranno anche le decisioni sul clima dentro le cerchie lobbistiche e lontano dall’opinione pubblica?
Ad esempio, come è possibile che per il Sud si mettano all’opera le trivelle di nascosto dalle popolazioni e si progetti un insensato aumento delle perforazioni in mare, anziché un investimento straordinario nel sole, così prodigo di irraggiamento in quelle regioni? Nel mondo cresce il ricorso alle energie naturali, mentre noi stiamo mettendo fuori gioco le professionalità e l’esperienza del nostro settore industriale nell’eolico, nel solare e nella geotermia, mentre piazziamo risorse sul piatto delle fonti fossili. Vediamo un po’, allora, qualche esempio fuori dai palazzi romani.
Anche prescindendo dalla solita Germania, il cambiamento è impressionante. Obama ha fortemente irritato l’industria carbonifera Usa con una rigorosa riduzione dei gas di scarico delle centrali, che diminuirà la domanda di carbone a 650 milioni di tonnellate rispetto alla media di 1 miliardo all’anno. Inoltre il suo programma intralcerà certamente la scommessa dello shale gas, visto che sarà incentivata la quota delle rinnovabili nel mix di produzione e che, di conseguenza, secondo la Bloomberg New Energy Finance Research, “La crescente competitività delle energie rinnovabili indebolisce le prospettive di generazione di gas: nel 2040 si arriverà solo a un aumento inferiore al 30% rispetto al 2015”. SunEdison, l’azienda americana leader mondiale del fotovoltaico, ha iniziato la costruzione di 110 MW di fattorie solari in Cile.
Dall’altra parte del continente, la Banca di sviluppo brasiliana BNDES ha annunciato che quest’anno aumenterà il finanziamento di progetti di energia eolica ad un ritmo che, sebbene inferiore rispetto al 2014, contempla pur sempre un aumento del 15% rispetto all’anno precedente.
King Abdulaziz, la città della scienza dell’Arabia Saudita, ha firmato un accordo interno per costruire una fattoria solare di 50 MW, eguagliando in un sol colpo la potenza finora in funzione nel paese che è il più grande esportatore di petrolio. Anche l’Iran sta cercando di sfruttare le sue buone risorse eoliche. Il governo prevede di incentivare e installare 5GW di capacità entro il 2020, nel tentativo di alimentare il fabbisogno elettrico della sua popolazione: il recente accordo apre alle aziende (cinesi ed Usa finora) un grande mercato, ma le aziende italiane sono tagliate fuori.
Il governo etiope ha firmato il primo contratto per l’elettricità prodotta da centrali geotermiche nel sito di Corbetti per 500 MW di potenza. Il progetto in fase di sviluppo è in carico a soggetti islandesi e fa ricorso al Fondo africano per l’energia rinnovabile. L’Indonesia sta attivando il più grande gasdotto geotermico, mentre Guatemala, Honduras e la Nuova Zelanda stanno facendo investimenti in un settore in cui l’Italia è sempre stata all’avanguardia. L’India sostenuta dal fondo monetario, sta avviando il più grande progetto finanziario per incentivare il risparmio energetico.
La breve rassegna qui esposta dice che nel mondo si va da tutt’altra parte e, tra l’altro, in settori in cui l’Italia vanta una posizione di primo piano. O meglio, vantava. I dati definitivi del settore elettrico, diffusi come di consueto da Terna a metà luglio, dicono che la grande crescita nelle rinnovabili è cessata nel 2014 e che la nuova potenza rinnovabile installata è di “soli” 676 MW.
La luce del sole, dati alla mano, dovrebbe abbacinare la frenesia delle nomine lottizzate e delle trivelle: infatti lo scorso anno le FER hanno generato 120.679 GWh, un bel 7,7% in più del 2013, una quantità di elettricità equivalente ai consumi totali di tre regioni energivore come Lombardia, Veneto e Piemonte o quasi equivalente al totale dei consumi dell’industria italiana (122,5 TWh)! Il loro peso è stato pari al 39% della domanda totale (che è stata pari a 310,5 TWh) e al 43% della produzione nazionale lorda (pari a 279,8 TWh). Nel 2015 invece la produzione da fonti rinnovabili ha segnato una flessione mentre la produzione da fonti fossili è in un aumento. Ben vengano allora le proteste e le manifestazioni di questi giorni.