Rasim Aliyev è morto dopo 18 ore di agonia: era stato pestato da 6 persone nel centro di Baku. L'ultimo suo post accusava un calciatore di essere "immorale" perché aveva sventolato una bandiera della Turchia in una partita a Cipro. Ma lo sport potrebbe non essere il movente dell'agguato
Ammazzato in mezzo alla strada davanti a un bar, picchiato a morte per aver criticato un giocatore della Nazionale. Rasim Aliyev, un giornalista azero, è deceduto domenica pomeriggio all’ospedale di Baku, capitale dell’Azerbaijan, dopo 18 ore di agonia in seguito ad un pestaggio in pieno centro. La sua colpa: un post su Facebook in cui definiva un calciatore del Gabala “indegno” di rappresentare la Nazionale. O semplicemente essere sempre stato un giornalista indipendente e sostenitore della libertà di stampa in un Paese a conduzione semi-dittatoriale. Prima di morire per le lesioni interne, Aliyev ha fatto in tempo a rilasciare dal letto di morte un’ultima videointervista in cui racconta i momenti dell’agguato.
La scorsa settimana il calciatore Javid Huseynov, nel corso di una partita di Europa League fra il suo Gabala e l’Apollon Limassol, aveva sventolato a Cipro (al cui interno si trova una Repubblica autonoma d’influenza turca) una bandiera di Ankara. Un gesto politico (che si lega alla vicinanza fra i governi di Erdogan e quello azero) che Aliyev aveva criticato su Facebook, scrivendo in un post che Huseynov era “troppo immorale per rappresentare l’Azerbaijan”. Dopo questo incidente il giornalista aveva ricevuto diverse chiamate dallo stesso giocatore e dai suoi familiari per incontrarsi, bere un tè insieme e chiarire l’accaduto. Ma, presentatosi all’appuntamento, Aliyev è stato aggredito da sei uomini che lo hanno picchiato a sangue. Inutili le cure dei medici, le ferite riportate erano troppo gravi.
Dopo il decesso, Huseynov, che ha scelto di non commentare le accuse, è stato sospeso dal suo club in attesa che le indagini chiariscono esecutori e mandanti dell’omicidio. Il movente “calcistico”, infatti, potrebbe essere solo una falsa pista, vista la carriera della vittima, che ha una storia di lotta contro il regime del presidente suo omonimo, e che già negli ultimi mesi era stato oggetto di pesanti minacce. A lungo membro dell’Istituto per la libertà e la sicurezza dei giornalisti, un organo di monitoraggio dei media chiuso lo scorso anno dal governo (il suo fondatore è stato anche processato), a luglio Aliyev aveva chiesto la scorta per le intimidazioni ricevute, vedendosi respinta la domanda. Poi, dopo poche settimane, l’aggressione fatale, ancora tutta da chiarire.
Comunque sia andata la morte di questo “eroe silenzioso” (come lo ha definito Emin Milli, il collega esiliato in Germania che ha raccolto la sua ultima testimonianza), si tratta del terzo giornalista dichiaratamente anti-governativo ucciso in Azerbaijan negli ultimi 5 anni. Solo nel 2015 in tutto il mondo sono morti 50 operatori dei media, di cui 38 assassinati.