La Grecia e i suoi creditori, dopo negoziati durati tutta la notte, hanno raggiunto un accordo sul memorandum da rispettare per lo sblocco del terzo piano di salvataggio da 82-86 miliardi di euro in tre anni. Quello concordato il 12 luglio da Alexis Tsipras e dai partner europei, ma condizionato appunto all’accettazione di precise condizioni da parte di Atene. La notizia, diffusa dal governo greco, è stata confermata da fonti dell’Unione europea che hanno però sottolineato come si tratti di un’intesa “tecnica” mentre manca ancora quella “politica”. Che richiederà un ulteriore giro di telefonate, in giornata, tra il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker, Francois Hollande e Angela Merkel. Quest’ultima deve fare i conti con i maldipancia di un gruppo di deputati della sua stessa coalizione, contrari all’esborso di nuovi aiuti. Berlino, peraltro, avrebbe voluto tenere a bordo il Fondo monetario internazionale, che invece deciderà non prima di settembre se partecipare al nuovo salvataggio.

L’accordo sarà sottoposto giovedì all’approvazione del Parlamento di Atene e venerdì è stato convocato un Eurogruppo per ratificarlo. Secondo il ministro delle finanze Euclides Tsakalotos ci sono solo “piccoli dettagli” da definire prima della firma, che consentirà al Paese di incassare subito almeno una prima tranche con cui rimborsare gli oltre 3 miliardi dovuti alla Banca centrale europea entro il 20 agosto e iniziare a ricapitalizzare le banche, affossate dalla fuga dei depositi e a cui saranno destinati circa 25 miliardi. Una prima iniezione da 10 miliardi di euro verrà effettuata entro fine anno, hanno riferito fonti del governo.

Accordo in 27 pagine e 35 punti. Graduale eliminazione delle pensioni anticipate – L’intesa prevede da parte greca l’attuazione immediata di 35 azioni prioritarie. Fra queste la revisione sulla tassa sul tonnellaggio delle navi, che andrà a colpire la casta degli armatori, la riduzione del prezzo dei farmaci generici, una revisione del sistema del welfare, il rafforzamento dei ranghi del dipartimento per i crimini finanziari (Sdoe, equivalente greco della guardia di Finanza) per aumentare il gettito e combattere l’evasione, la graduale eliminazione delle pensioni anticipate, la cancellazione dei benefici fiscali per le isole entro la fine del 2016, la ridefinizione della figura dell’agricoltore (che ha diritto a corposi sgravi sulle tasse), l’attuazione delle riforme di mercato proposte dall’Ocse, la liberalizzazione del mercato dell’energia e la prosecuzione del programma di privatizzazioni. Oggi peraltro è in agenda la presentazione al Parlamento ellenico di un nuovo pacchetto di riforme da votare entro venerdì: ne fanno parte un taglio della spesa per la difesa pari a 500 milioni di euro per l’anno in corso e il prossimo e una graduale eliminazione dei sussidi per gli agricoltori.

Obiettivi di bilancio “ammorbiditi” per tener conto della recessione – Secondo un funzionario ellenico citato dall’agenzia Reuters è stata anche raggiunta l’intesa sugli obiettivi fiscali e di deficit pubblico che il Paese dovrà mettere a segno nei prossimi anni: il deficit di bilancio quest’anno dovrà attestarsi allo 0,25%, mentre il prossimo Atene dovrà registrare un surplus primario (entrate meno spese al lordo degli interessi sul debito) dello 0,5%, nel 2017 dell’1,75% e nel 2018 del 3,5%. Fino a una settimana fa la troika, tornata nella capitale ellenica alla fine di luglio, insisteva sulla necessità di avanzi primari più corposi già a partire da quest’anno e fino al 4,5% nel 2018, il che avrebbe richiesto una fortissima stretta sulle uscite dello Stato. Ma il crollo del pil causato dalle tre settimane di chiusura delle banche e dalle limitazioni ai movimenti dei capitali (il dato acquisito è -2,3%, ma il rischio è che arrivi a cedere più del 3%) ha peggiorato il quadro e favorito il compromesso. Fonti del governo Tsipras hanno espresso soddisfazione sostenendo che questi obiettivi “lasciano margine per la crescita economica”. Inoltre, secondo le stesse fonti, l’esecutivo ha ottenuto il mantenimento fino alla fine dell’anno della moratoria per gli sfratti ed è riuscito a evitare che i portafogli di crediti inesigibili delle banche siano venduti a fondi privati.

I falchi di Berlino in minoranza – L’esito non è quello auspicato da Berlino. Che negli ultimi giorni non ha fatto mistero del fatto che piuttosto che chiudere in fretta avrebbe preferito il varo di un secondo prestito ponte dopo quello accordato a fine luglio dall’European financial stability mechanism. Secondo il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, l’esigenza principale era che l’accordo fosse “accurato”. Il problema è che ora la cancelliera Angela Merkel dovrà convocare il Bundestag – probabilmente subito dopo Ferragosto – per ottenere il via libera all’esborso di nuovi aiuti. E fare i conti con i maldipancia di un sempre più nutrito drappello di deputati della sua coalizione, la Cdu-Csu. Il 17 luglio sono stati in 60 a votare contro l’avvio dei negoziati. Il segretario di Stato del ministero tedesco delle Finanze, Jehns Spahn, membro della Cdu, ha commentato dicendo che “sembra ci sia una disposizione migliore rispetto a quella che abbiamo visto negli ultimi mesi” e che comunque l’accordo deve essere sostenibile e in grado di reggere “per i prossimi tre anni, non per i prossimi tre giorni”.

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