L’istrice esiste nostro malgrado. Puoi incontrarlo raccolto come una palla, mentre rotola come una biglia, scagliando gli aculei in tutte le direzioni. La vita si trova dappertutto, la terra è rotonda. Così, se tendi la mano all’istrice da qualunque lato, il tuo dito può cadergli sulla testa, o forse sulla bocca. Può capitargli sul ventre o sul sedere. Può accaderti di non toccare neppure l’animale, come fu per il dito di Ijayel, il marito di mia zia, che indietreggiò prima ancora di sfiorarlo, quando l’istrice si rizzò davanti a lui, lanciando i suoi aculei colorati in tutte le direzioni, e uno gli si conficcò in gola.

Cugini_addio_al-RamliÈ un romanzo dell’esilio, un romanzo malinconico e nostalgico Cugini, addio, di Mushin Al-Ramli, poeta, romanziere, giornalista e traduttore iracheno (pubblicato in Italia da Cicorivolta Edizioni e tradotto mirabilmente da Federica Pistono). È un romanzo in parte autobiografico, dato che lo stesso autore vive in Spagna dal 1995 e la sua esperienza in patria è quella dei protagonisti di questa storia, uomini e donne di un villaggio contadino che si affaccia sulle rive del Tigri. È il romanzo sui danni che una dittatura, in questo caso quella di Saddam Hussein, può fare ai ritmi secolari e alle credenze di una comunità rurale.

Ijayel si voltò, gridando con la sua voce, rimasta rauca a causa dell’aculeo dell’istrice: “Qasim! Sei… Non sei figlio di tuo padre! Non sei nashinan!”. (…) Ijayel sfogò l’indignazione su mia zia con parole che giunsero all’orecchio di Qasim: “Tuo figlio Qasim odia la patria!”. Qasim si chinò a baciare la mano di suo padre: “No, padre, non fraintendermi. Amo il mio Paese, come lo ami tu e come lo amava mio nonno. Ma odio quell’uomo”. Mia zia domandò: “Quale uomo?” Suo marito le rispose: “Non hai sentito? In tende dire il Leader. Dov’è la differenza? Il Leader è la patria e la patria è il Leader”. “No, padre, queste sono le chiacchiere della televisione. Per quanto mi riguarda, penso il contrario, perché il Leader ha distrutto il Paese”.

In modo più sintetico, e dal mio punto di vista più efficace, in Cugini, addio si ritrovano molte tematiche già affrontate da Mushin Al-Ramli in Dita di datteri (anche questo romanzo pubblicato in Italia da Cicorivolta Edizioni e tradotto da Federica Pistono). La struggente melanconia dell’esilio a Granada fluttua fin sulle rive del grande fiume dell’Asia occidentale, impernia rapporti di zii, madri, figli, amici, usanze ancestrali e nuove infatuazioni militaresche. Attraverso l’uso di una prosa asciutta, dura ma non spigolosa, l’autore riesce a raccontare l’ultimo trentennio del Novecento dell’Iraq, la passione della gente comune, la fatica e il sudore, la voglia di bellezza e poesia, e la follia, la dittatura, la guerra.

Il deputato di campagna aveva detto: “A volte, i miei vicini e io alziamo un muro tra noi, altre lo abbassiamo. A volte piantiamo cocci di vetro in cima al muro, altre piantiamo fiori. Ma non ci siamo mai ammazzati tra di noi, i vicini fanno parte della famiglia e la guerra di per sé è cosa deprecabile, in cui perde anche il vincitore”. (…) Si dice che il Leader avesse accolto con garbo il parere del deputato. Era democratico, così aveva convocato il deputato per un colloquio privato. Lo aveva condotto in una stanza adiacente alla sala delle conferenze, che poteva forse essere un bagno. Dall’altra parte della porta, i parlamentari avevano udito rimbombare un colpo di pistola, quindi il Leader era uscito, chiedendo se ci fossero altre opinioni dissidenti. Non si era levata voce alcuna, così il Leader aveva dichiarato la guerra in nome del popolo e dei suoi rappresentanti. La guerra aveva trascinato nelle trincee Qasim, Abdul-Wahid, Saadi, Jaafar, Samit, Faris, Fawzi, Ali, Ghazi, Abed, Khadyr, Muhammad, Khatim, Hussein, Omar, Amin e le palme da datteri, il petrolio e le scuole.

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