Centinaia di persone vivono abusivamente da mesi negli stabili di via Fioravanti, via Galliera e via De Maria. Le istituzioni stanno ancora valutando le possibili soluzioni alternative, intanto il primo cittadino ha violato il piano casa del governo e ha ordinato il riallaccio delle utenze
“Non è una questione di merito, il sindaco non aveva scelta: se non avesse riallacciato l’acqua agli stabili occupati di via De Maria e via Fioravanti si sarebbe creata un’emergenza sanitaria”. Lavinia vive negli ex uffici della Telecom di Bologna assieme alle 85 famiglie, in tutto circa 280 persone, metà delle quali minorenni, che a dicembre hanno deciso di occupare l’edificio a due passi dalla stazione. Fa parte anche del Social Log, il collettivo che gestisce quella e altre due occupazioni nel capoluogo dell’Emilia Romagna: lo stabile di via Galliera, e di via De Maria. Dove il sindaco di Bologna Virginio Merola, eletto col Pd, nonostante il divieto del Piano casa varato dal governo Renzi, ad aprile aveva deciso di riallacciare l’acqua staccata dai titolari dei palazzi agli occupanti, per poi essere iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della città per abuso d’ufficio. La norma, infatti, prevede che “chiunque occupi abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”. “Ma solo qui in via Fioravanti siamo quasi in 300, ci sono anziani e bambini, e in via De Maria vivono 60 famiglie – fa i conti Lavinia – vi immaginate cosa sarebbe successo se fossimo rimasti senz’acqua?”.
Tutti con alle spalle una storia di sfratto, disoccupazione, e problemi economici dovuti alla crisi, gli occupanti di Bologna puntano il dito contro il governo: “E’ il piano casa che non va bene, non la decisione del sindaco. In un’Italia dove gli sfratti si accumulano anno dopo anno, e gli alloggi pubblici non bastano, è chiaro che le persone cercano di arrangiarsi”. Anche Stefano Venturi, ex artigiano bolognese che ha perso la sua attività a causa della recessione, vive in via Fioravanti. Papà di un ragazzino affetto da autismo, aveva provato a chiedere l’alloggio popolare, ma senza reddito non si può accedere alla graduatoria. Il migliore amico di suo figlio è Mohamed, che con la moglie incinta e due bimbi piccoli abita al secondo piano dell’ex sede Telecom. Fino al 2010 lavorava, pagava le tasse, e aveva una casa, poi però con la crisi è subentrata la mancanza di lavoro, e in pochi anni i risparmi sono finiti. “Noi abbiamo sistemato quest’edificio grazie alla generosità dei tanti bolognesi che ci hanno donato ciò che non usavano più – racconta – abbiamo creato una comunità multiculturale, viviamo in armonia. L’unica paura è che arrivi la polizia e ci mandi via. Non sapere cosa accadrà domani spaventa tutti qui”.
Mohamed e Stefano, come Silvia, maestra elementare che ora insegna l’italiano agli altri inquilini di via Fioravanti, o Nourddin, esperto del cartongesso di 34 anni, rimasto disoccupato a causa della crisi, dicono che non avevano alternative all’occupazione. “Se non fossimo qui saremmo in strada – spiega Nourddin, che divide la casa con i genitori e la sorella – senza lavoro non potevamo più mantenere una appartamento, così ci siamo rivolti a Social Log”.
“Con il Comune cerchiamo di dialogare – spiega Lavinia – ma non è facile. Qualche giorno fa, ad esempi, la giunta Merola aveva parlato della possibilità di spostarci tutti a Ponticella, in un’ex caserma. Poi però il sindaco di San Lazzaro, Isabella Conti, sempre a mezzo stampa, ha detto no”. Ora sul tavolo San Lazzaro ha messo 20 posti per mamme e minori in zona Cicogna, e se è chiaro che gli alloggi non bastano, c’è anche timore è che tutta la discussione tra sindaci di Comuni limitrofi indichi l’approssimarsi dello sgombero. E in via Fioravanti si vive col fiato sospeso.
“Stiamo bene qui – spiega Stefano – abbiamo lavorato molto per sistemare l’edificio”. Da dicembre a oggi, infatti, al piano terra dell’ex sede Telecom gli occupanti hanno creato una sala giochi per i bambini, con peluche e libri da leggere donati dalla città, c’è uno spazio mensa, e pure una sala conferenze usata due volte la settimana per l’assemblea. “Il sabato giochiamo a calcetto, le feste le trascorriamo insieme, e siamo diventati amici”. Le porte dei vari appartamenti, del resto, sono tende colorate, e tutti sono benvenuti a casa di tutti. Con più di 100 bambini, 5 neonati e 4 in arrivo, sorride Ryan, che di anni ne ha 7, “è un po’ un parco giochi”.
“Cerchiamo di non pensare alla possibilità che ci caccino – alza le spalle Stefano – e intanto diamo una mano come possiamo. Abbiamo creato spazi per ospitare chi dovesse essere sfrattato, o sgomberato, e abbiamo istituito l’ufficio degli Inquilini resistenti, pronti ad aiutare chi dovesse trovarsi alla porta l’ufficiale giudiziario”. Seduto accanto all’ingresso c’è Costantino, 82 anni, che tra le mani ha già lo sfratto. “Non può essere giusta una legge che toglie l’acqua a chi si trova costretto a occupare perché non ha una casa. Anch’io qualche anno fa avevo una vita regolare come tutti, eppure ora sono qui. E sempre più italiani bussano alla nostra porta in cerca d’aiuto. Allora cosa non va bene, noi o il Paese?”.