“Voglio tornare, e sto facendo il possibile per riuscirci. L’Italia, però, non sembra così pronta ad accogliere noi giovani fuggiti dal Paese”. Ha le idee chiare Giuseppe Parrella, 26 anni e il sogno di lavorare nel suo Paese d’origine. Nel 2008 ha lasciato Montoro, comune di 20mila abitanti in provincia di Avellino, per trasferirsi a Roma. Da allora a casa non è più tornato.

Prima la capitale, poi Inghilterra, Scozia, Burkina Faso, Spagna e Svezia. “Sono arrivato a Roma nel 2008 per studiare Scienze politiche – racconta Giuseppe – In poco tempo sono riuscito a stabilire una collaborazione come volontario in un’associazione studentesca universitaria”. Per due mandati Giuseppe è responsabile dell’esecutivo cittadino e dal 2012 collabora anche con Libera contro le mafie come referente di un campo confiscato a Borgo Sabotino, in provincia di Latina. “È stata un’esperienza che mi ha dato molto. Grazie ai volontari, al raduno e alle forze di tutti, la struttura è tornata in vita. Un mio pezzo di cuore è ancora lì”.

Poi, nello stesso anno, arriva la decisione di lasciare l’Italia per continuare gli studi all’estero. “Sono partito da Roma con in tasca la laurea e mi sono trasferito a Edimburgo”. La vita in Scozia non è stata semplice, almeno all’inizio. “Ho cominciato a lavorare in un bar, poi in un ristorante – racconta -. Il mio livello di inglese non era il massimo”. A gennaio 2013 Giuseppe inizia a frequentare un corso di lingua nel college di Edimburgo: così migliora e riesce a entrare all’Università di Leicester, in Inghilterra. È lì che arriva la Laurea Specialistica in relazioni internazionali.

Poi la partenza per il Burkina Faso, dove è insegnante e volontario, e l’arrivo in Spagna. “Sono stato 5 mesi in una scuola di lingue, mi occupavo delle relazioni internazionali dell’istituto. Parlavo spagnolo anche grazie alle ricerche sul campo per la tesi di laurea specialistica, realizzate a Bogotá, in Colombia”. E dopo è la volta di Bruxelles, perché a gennaio 2015 Giuseppe fa un’esperienza di tre mesi in un giornale internazionale. La sua vita da giramondo ce la racconta dall’aeroporto di Göteborg, in Svezia, dove aspetta l’autobus che lo porterà alla residenza che condivide con i nuovi colleghi. “L’ultimo progetto a cui ho partecipato riguarda un programma Erasmus Plus sulla tratta degli esseri umani, al quale hanno lavorato sette Paesi”.

Il pensiero per l’Italia, però, Giuseppe lo porta nel cuore. Quando sente però parlare di cervelli in fuga storce il naso. “Voglio tornare per portare quello che ho imparato e fare in modo che l’esperienza all’estero non sia intesa solo come fuga”. Definisce il rapporto col suo Paese “lunatico, altalenante”. Da una parte, prosegue, “c’è il disprezzo per quello che non funziona; dall’altra sentimenti di gioia e malinconia perché nessun altro luogo al mondo potrà offrirmi le tradizioni con le quali sono cresciuto”.

A 26 anni, però, si chiede quale sarà il suo futuro. “Non ho mai immaginato la mia vita senza la partenza, e per questo dico ai giovani italiani: partite, viaggiate. La conoscenza delle lingue, delle culture, dei metodi delle persone nate e cresciute anche a milioni di chilometri dalle nostre terre può solo far crescere ognuno di noi”. In attesa, un giorno, di poter tornare nel proprio Paese. Magari.

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