Ho scelto: affiderò la mia vita, i miei figli, mio marito ad un sistema informatico. In queste ore dovevo decidere: lasciare la mia terra, la mia casa, i miei affetti per un lavoro chissà dove o restare ancora per chissà quanto precaria. O forse senza un posto.
Sono dodici anni che vago tra una cattedra e l’altra: Enna, Messina, Ragusa, Siracusa. Un concorso nel 1999 per l’abilitazione. Qualche anno in una scuola al Nord per fare punteggio e poi la speranza di trasferirsi di nuovo nella propria terra, per poter vivere come tutti una vita “normale”, accanto alla propria famiglia. Chiedo forse troppo?
Il ministro Stefania Giannini e lui (neanche lo chiamiamo più per nome e cognome) staranno in ferie ma noi precari del Sud abbiamo trascorso i nostri mesi da disoccupati in cerca di una risposta, appellandoci a qualsiasi sindacato, a ogni sito possibile che potesse aiutarci a capire cosa fare.
Ci hanno detto di scegliere tra 100 province indicando l’ordine di “preferenza” come se fosse la stessa cosa che scegliere tra una vacanza a Napoli o a Lignano Sabbiadoro. Dobbiamo affidare la nostra vita ad una “roulette”.
Ecco il mio elenco: Gorizia, Torino, Asti, Cuneo, Milano, Firenze, Pistoia, Piacenza, Cremona. Dove andrò non lo so. Lo sceglieranno “loro”, lo deciderà il “sistema” come se fossimo dei pacchi postali non delle persone, degli individui con una vita, una storia, dei figli. Nessuno ci chiederà nulla. Nessuno guaderà il nostro curriculum. Siamo ancora una volta solo un numero tra migliaia di numeri. Tra quindici giorni saprò se passerò un anno in un paesino piemontese o tra le nebbie della pianura cremonese. Dovrò aver pronta la valigia. Partire. Trovare una casa in affitto. Capire come raggiungere la mia scuola. Imparare di nuovo a vivere. Un’altra vita, decisa da altri.
A Marco, mio figlio di 7 anni, non l’ho ancora spiegato: non trovo le parole. Non so come dire lui che papà resterà a Palermo e mamma partirà con lui. Non so come dire a un bambino che un signore ha deciso che cambierà scuola, compagni perché “non tutti possono avere il posto sotto casa” come ha detto il sottosegretario Gabriele Toccafondi.
Sì, ha usato queste parole: certo, non tutti possono avere il posto sotto casa ma queste cento mila assunzioni creeranno in verità una deportazione di massa di insegnanti che con 1.100 euro al mese dovranno cambiare vita, affittarsi una casa, prendere una macchina, trovare una baby sitter, mantenere un figlio. Qual è lo stipendio del signor Toccafondi? Forse “loro” si sono scordati di quanta guadagna un insegnante, di quanto vale quel posto di lavoro.
Certo potrei fare altro, cercare altro…se fossimo in un Paese normale. Ho ancora qualche ora per tornare sulla mia decisione: vado o resto, un lavoro o il precariato, la famiglia o il posto, la mia vita o la loro….
Ps. Questa non è la mia storia ma quella di tante donne e uomini che in questi giorni ho ascoltato.