A quattro anni dal referendum, la Sicilia è la prima regione d’Italia ad approvare una legge per riportare nelle mani pubbliche la gestione dell’acqua. L’Assemblea regionale siciliana ha infatti approvato il disegno di legge elaborato dalla commissione Ambiente dopo tre anni di discussioni, lotte intestine e blocchi continui dell’iter parlamentare, dovuti anche al cambio di ben tre assessori nei vari rimpasti varati da Rosario Crocetta. Alla fine, il disegno di legge approvato è un’evoluzione (con alcune modifiche) di quello depositato dal Forum per l’acqua pubblica, ente propulsore del referendum del 2011. L’approvazione del ddl all’Ars è arrivata solo dopo un lungo dialogo tra la maggioranza che sostiene il governatore Crocetta e il Movimento 5 Stelle, che alla fine ha votato a favore della legge.
”Abbiamo dato un grosso contributo a migliorare una legge che senza il nostro apporto rischiava di essere pessima. Anche se non nascondiamo che tantissime cose potevano andare meglio, possiamo dire di avere messo centrato numerosi obiettivi”, dice il deputato pentastellato Giampiero Trizzino, presidente della commissione ambiente. “In un contesto nazionale nel quale l’esito dei referendum del 2011 viene aggirato con la legge di stabilità e lo Sblocca Italia per indurre i Comuni a mettere sul mercato i servizi pubblici, la Sicilia infine alza la testa e ribadisce le competenze esclusive in materia di acque pubbliche assegnate dallo Statuto autonomo che ha rango costituzionale”, commentano dal Forum per l’acqua pubblica. La legge prevede l’inserimento di una garanzia gratuita di un minimo di 50 litri al giorno per le famiglie morose e un fondo monetario per aiutare quelle meno abbienti, mentre verrà introdotto uno sconto del 50 per cento per l’acqua che non può essere usata in ambito alimentare. Nonostante il ddl punti alla gestione pubblica delle reti idriche, però, rimane in vigore la possibilità di affidamento alle società private: un’opzione che potrà essere percorsa solo quando l’offerta dei privati è più vantaggiosa ed economica rispetto a quella delle società pubbliche.
Ad affidare la gestione delle reti idriche saranno, come già in precedenza, gli Ato (ambiti territoriali ottimali), che raggruppano più comuni e che passeranno da cinque a nove in tutta la Regione. Altra novità è l’introduzione di una maxi sanzione per i gestori privati, dai 100 ai 300mila euro, nel caso in cui il servizio venga sospeso per più di quattro giorni. Rimane dunque sul tavolo una situazione frammentaria: ogni Ato in pratica potrà affidare le proprie reti idriche in autonomia, con il risultato che non ci sarà comunque un unico tariffario, che invece sarà diverso nelle varie zone dell’isola. “Per tantissimi versi –commentano i 5 Stelle – è stata un’occasione mancata: avevamo l’opportunità di fare finalmente una legge per tutti i siciliani, che li equiparasse sullo stesso piano tariffario, ma si è preferito continuare con la politica del proprio orticello, dei territorialismi, che si è evidenziata soprattutto nella ridefinizioni degli ambiti territoriali che finiranno per ricalcare le vecchie province”.
Il ddl approvato ha comunque il merito di mettere un punto alla lunga epopea siciliana dell’acqua affidata ai privati: in principio fu l’ex governatore Salvatore Cuffaro (oggi detenuto dopo una condanna defintiva per favoreggiamento a Cosa nostra), che nel 2004 liquidò Eas (ente acquedotti siciliani) creando Siciliacque, poi finita a maggioranza privata con l’entrata della multinazionale francese Veolia nel pacchetto azionario. Il decennio successivo è stato caratterizzato dal fallimento di alcune società che gestivano le reti idriche (con relativo passaggio al pubblico di centinaia di dipendenti con stipendi arretrati e debiti milionari), e dagli ultimatum della Regione ai sindaci che si rifiutavano di consegnare le reti idriche ai privati. Il caso limite è forse rappresentato da Girgenti Acque, attiva in provincia di Agrigento, senza certificazione antimafia e con un amministratore delegato condannato in via definitiva a dieci mesi di reclusione per truffa aggravata: la società pratica tariffe molto più elevate rispetto ai comuni che si sono rifiutati di cedere le reti. La provincia di Agrigento, infatti è divisa in due: nei comuni che gestiscono da soli le reti idriche i cittadini pagano la media 300 euro all’anno, meno della metà rispetto alle città gestite da Girgenti Acque. Un paradosso che adesso dovrebbe essere cancellato dalla nuova norma.