“Quando ho letto del voto di Amnesty ho pianto di gioia” – mi scrive una sex worker che lavora in un paese straniero: “Finalmente qualcuno ci ascolta, dopo anni trascorsi a comunicare disagi, discriminazioni, la persecuzione della polizia. Dopo aver visto le mie sorelle straniere prese e portate via. Inghiottite nel nulla, espulse dal paese, da chi diceva di volerle aiutare”.
Nella lettera la sex worker continua ponendo un dubbio: “Perché le abolizioniste non possono essere felici per me?”. Già. Perché?
Amnesty ha votato per la decriminalizzazione della prostituzione a tutela dei diritti umani dei/delle sex workers. Decriminalizzare non vuol dire dare una regola di gestione della prostituzione. Significa impedire che la vendita e l’acquisto dei servizi sessuali siano considerati un crimine perché tante, nel mondo, sono le prostitute che vivono la repressione, la persecuzione e il carcere per quello che fanno. Troppe ancora sono messe alla gogna, com’è accaduto di recente in Grecia, in totale violazione del loro diritto alla privacy.
Identico dovrà essere l’atteggiamento nei confronti dei clienti, perché criminalizzarli significa solo che le prostitute accetteranno maggiori compromessi. Si piegheranno a ricatti e a guadagni inferiori, con minore sicurezza e maggiore rischio per se stesse. Se i clienti hanno paura di essere arrestati le prostitute accetteranno di vendere servizi sessuali a tossici, ubriachi, persone che si rifiutano di mettere il preservativo e violenti. Questo è quello che viene evidenziato anche rispetto alla situazione in Svezia, per esempio.
La sicurezza dei/delle sex workers si ottiene decriminalizzando. Lo scrive Amnesty con chiarezza come già aveva scritto l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Unaids, il Referente Speciale delle Nazioni Unite per il Diritto alla Salute e altre agenzie delle Nazioni Unite in consultazione costante con Amnesty assieme a Un Women, l’Internazionale anti/tratta, L’alleanza globale contro il traffico di donne oltre a ex sex workers, organi di Polizia, organi governativi e altre agenzie in molte nazioni del mondo.
Amnesty specifica che questo non è un favore ai ‘papponi’ ma è una scelta che tende a migliorare la situazione dei/delle sex workers. Si vuole dare anzi più potere di autogestione, e non solo, ai/alle sex workers e mai favorire lo sfruttamento.
L’organizzazione internazionale, dal giorno del voto, tuttavia, è stata investita da mille accuse che arrivano sempre dalle abolizioniste, coincidenti con le femministe radicali, ala del movimento più reazionaria e moralista, puttanofobe, incapaci, per l’appunto, di essere felici per i/le tant* sex workers che hanno tirato un sospiro di sollievo e possono sperare che la situazioni migliori grazie all’impegno di Amnesty International.
I/le sex workers potranno godere del rispetto per i diritti umani, e a loro garanzia Amnesty dichiara inefficace il modello nordico, quel modello svedese sul quale le femministe citate investono, in Francia, Inghilterra, nord Europa, lasciando pensare che sia la panacea per tutti i mali. Non è così.
“Pur non criminalizzando direttamente i/le sex workers, il modello nordico criminalizza gli aspetti operativi del sex work – come l’acquisto di sesso e l’affitto di locali per svolgere l’attività. Tutto questo va a compromettere la sicurezza dei/lle sex workers e l* rende vulnerabili agli abusi. È facile che siano perseguiti dalla polizia, il cui scopo, spesso, è di sradicare il sex work con il pretesto del rispetto della legge. (…)” – scrive Amnesty e continua – “Con il modello nordico il sex work si trova ancora a essere stigmatizzato e ciò contribuisce alla discriminazione e alla marginalizzazione dei/lle sex workers”.
Quanto accadrà in seguito al voto di Amnesty lo spiega l’organizzazione stessa: “il voto costituisce un via libera allo sviluppo e al dibattito su una politica rivolta specificamente alla protezione dei diritti umani dei/lle sex workers. La discussione di questa politica avverrà in ottobre, durante il nostro prossimo incontro”.
A chi rimprovera ad Amnesty di favorire, con questo voto, la tratta, così risponde: “È importante fare assoluta chiarezza sul fatto che Amnesty International condanna aspramente ogni forma di traffico umano, e quindi la tratta ai fini dello sfruttamento sessuale. Il traffico umano è un abuso abominevole sui diritti umani e andrebbe criminalizzato a livello della legislazione internazionale. (…) Decriminalizzare il sex work non significherebbe la rimozione delle pene previste per chi compie reati relativi alla tratta. Nessuna prova evidente suggerisce un legame di conseguenzialità tra decriminalizzazione e traffico. Al contrario, crediamo che decriminalizzare aiuterebbe a contrastare il traffico”.
Così Amnesty chiarisce che se la prostituzione non fosse considerata un crimine, salvo per chi sfrutta persone per obbligarle a lavorare in quel settore, sarà più semplice per le prostitute stesse rivolgersi alla polizia, denunciare lo sfruttamento subito. Finché le prostitute, però, non potranno vedere garantiti i propri diritti umani saranno sempre più obbligate a nascondersi.
Amnesty riconosce poi la differenza tra tratta e sex working per scelta. Quella differenza che le abolizioniste mettono in discussione screditando ogni alternativa di regolarizzazione a partire da quella tedesca e negando l’efficacia del modello neozelandese.
Per i/le sex worker che scelgono di vendere servizi sessuali Amnesty immagina, invece, come la conseguenza della decriminalizzazione possa realizzarsi nell’affitto di un locale per lavorare con un@ collega, con migliori condizioni di lavoro e più sicurezza. In Italia, per esempio, questo non si può fare perché la legge Merlin vede le colleghe nello stesso appartamento e chi affitta il locale come rei di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. In questo modo si rende difficile la vita a chi vuole lavorare togliendo risorse alla lotta contro il vero sfruttamento della prostituzione.
Questi e molti altri gli argomenti fondamentali sollevati. Peccato che le abolizioniste riescano solo ad ascoltare se stesse, sostituendo la propria voce a quella di persone alle quali non viene riconosciuta alcuna legittimità. Il loro tono isterico, emergenziale, usando il corpo di una vittima di tratta come oggetto da scagliare contro le prostitute che scelgono di prostituirsi. Donne che non sanno cosa significhi precarietà vera, che usano le vittime come feticcio per alimentare il proprio fanatismo e così negare la voce a quelle che dicono di rappresentare. Perciò io ascolto, imparo, e riferisco quello che i/le sex workers mi raccontano, perché sto con loro. Supporto i/le sex workers. Sempre.