“Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata, che evidentemente era diventata, per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo ‘per bene’ e studente ‘modello’, da tutti concordemente apprezzato”. Otto anni fa Chiara Poggi veniva trovata morta, in un lago di sangue, nella sua villetta di Garlasco, alle porte di Pavia. Era il 13 agosto del 2007.

Otto anni dopo è questa l’ultima verità sancita dai giudici della Corte d’Assise d’Appello nel processo d’appello bis per l’omicidio di Chiara Poggi, che lo scorso 17 dicembre hanno condannato Stasi a 16 anni di carcere. E per questo, come racconta Repubblica, lo studio commercialista in cui era impiegato ha deciso di interrompere il rapporto di lavoro perché i clienti non avrebbero gradito di essere seguiti da un professionista condannato per omicidio.

Otto anni nei quali l’unico imputato per il delitto è stato l’allora fidanzato, ex studente alla Bocconi che ora è in attesa del processo in Cassazione, che comincerà l’11 dicembre, e che potrebbe porre fine alla vicenda costellata da polemiche sulla conduzione delle indagini da due assoluzioni, un annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte e una condanna a 16 anni in appello.

La famiglia di Chiara ora chiede all’imputato un milione di euro, come disposto dai giudici d’appello, ma i difensori di Stasi – che hanno presentato ricorso in Cassazione, così come la Procura generale – definendo la sentenza “gravemente viziata, oltre che costellata da macroscopiche violazioni sia dei diritti fondamentali dell’imputato che della delle processuale penali”, intendono attendere il verdetto della Suprema Corte.

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