Il 6 luglio la Regione Piemonte vara una legge regionale con la quale, in sostanza, promette il pugno di ferro contro Uber e ogni altro analogo servizio, “ricordando” che “il servizio di trasporto di persone, che prevede la chiamata, con qualunque modalità effettuata, di un autoveicolo con l’attribuzione di corresponsione economica, può essere esercitato esclusivamente dai soggetti” autorizzati e prevedendo multe salate e, soprattutto, la sospensione e il ritiro della carta di circolazione per chiunque svolga tale servizio abusivamente.
All’iniziativa regionale piemontese, fa eco il 24 luglio l’Antitrust, rispondendo a una richiesta di parere della presidenza del Consiglio dei ministri, mette nero su bianco che la legge regionale è, a suo avviso, inopportuna e di dubbia legittimità nel metodo e nel merito.
Nel metodo – scrive l’Antitrust – il Piemonte si sta arrogando il potere di occuparsi di questioni di mercato che la Costituzione riserva al legislatore nazionale, e così facendo minaccia di creare confusione e ambiguità per quando dovesse rivedere la disciplina della materia, legalizzando definitivamente Uber.
Ma l’Authority del presidente Giovanni Pitruzzella ribadisce anche al Governo che la legge regionale piemontese è “sbagliata” nel merito perché va esattamente nella direzione opposta a quella da essa auspicata a più riprese. E, in questa prospettiva, ricorda di aver già ripetutamente rappresentato la sua posizione a proposito dell’esigenza di un intervento legislativo procompetitivo e capace di allargare gli orizzonti di un mercato, quello dei servizi pubblici non di linea, asfittico ed a bassa concorrenza.
“In particolare – ricorda l’Antitrust – nella segnalazione ai fini della legge annuale per la concorrenza del luglio 2014 (AS1137), si rappresentava che: “l’inadeguatezza del complesso delle norme vigenti emerge anche in considerazione delle nuove possibilità offerte dalle piattaforme di comunicazione on-line tra utenti e operatori NCC e taxi, che agevolano la comunicazione tra domanda e offerta di mobilità, consentendo un miglioramento della mobilità di offerta di trasporto di passeggeri non di linea, in termini sia di qualità sia di prezzi”. Nella recente audizione parlamentare del 24 giugno scorso sul disegno di legge per la concorrenza, il Presidente ha ribadito come: “Quanto al tema delle nuove piattaforme tecnologiche per la mobilità non di linea, appare ormai ineludibile una novella normativa volta ad una regolamentazione di queste nuove figure (piattaforme on line per smartphone e tablet ed autisti non professionisti). La regolamentazione dovrebbe essere tuttavia la meno invasiva possibile, limitandosi a prevedere una registrazione delle piattaforme e l’individuazione di una serie di requisiti e obblighi per gli autisti. In questo contesto, appare necessario evitare soluzioni che, pur rappresentando una apertura a questi servizi, ne potrebbero sancire, di fatto, un’operatività ridotta, non in grado di aumentare la concorrenza sui servizi di trasporto non di linea. (…)”.
E non si è fatta attendere – come se non bastasse la confusione creata da una legge regionale che sembra invadere le competenze dello Stato e proporre una regolamentazione di mercato opposta a quella suggerita dall’Autorità garante per la concorrenza e il mercato – la risposta del Governo che, nel Consiglio dei ministri del 31 luglio ha deliberato di impugnare, davanti alla Corte Costituzionale, la legge regionale piemontese.
Ora, nell’epopea italiana anti-Uber – e suoi simili – c’è una sola certezza costituita dall’incertezza delle regole.
Un’interminabile altalena di iniziative e provvedimenti che ora sembrano voler bandire per sempre le berline nere di Uber – e quelle che verranno – dalle nostre strade, lasciando il mercato ai soli tassisti, ora andare, anche se forse con eccessiva timidezza, in direzione del futuro, rivedendo regole e principi scritti quando internet non esisteva e l’economia della condivisione non era neppure immaginabile.
E’ il peggiore degli scenari possibili perché paralizza e fa perdere tutti, senza far vincere nessuno.
La sola istantanea di quest’ultima puntata di inizio estate, infatti, racconta di una Regione che dice no, un’Autorità che la bacchetta ed un Governo che porta, addirittura, la Regione davanti alla Corte Costituzionale.
Quale imprenditore o startupper – Uber a parte – si avventurerebbe ad investire in Italia, nel settore del car sharing [e dintorni], in un contesto normativo tanto fluido ed incerto?
E dice bene, allora, Sergio Boccadutri, coordinatore dell’area innovazione del PD, che sottolinea come la vicenda piemontese sia esemplare dell’esigenza di ripensare radicalmente il rapporto tra regole, tecnologie e servizi di mobilità guardando anche a Paesi nei quali sta prendendo piede il cd maas (mobility as a service https://en.m.wikipedia.org/wiki/Mobility_as_a_service) che consente, con una sola app di saltellare da un mezzo ad un altro per raggiungere la tua destinazione.