In attesa che i giudici decidano sul contenzioso esistente dall’inizio degli anni Settanta tra la Soprintendenza archeologica, che cura il bene, e la famiglia Dello Iacono, già proprietaria dell’area, i cancelli rimangono chiusi. All'interno i lavori di recupero sono quasi terminati, ma nessuno può fruire dell'area
“Chiediamo che il sito archeologico di Abellinum venga riaperto al pubblico”, ripete sconsolato il presidente della Pro Loco Atripaldese, Lello Labate. Ed è solo l’ennesimo appello per restituire alla fruizione il Parco archeologico del comune in provincia di Avellino. Non soltanto il complesso residenziale appartenuto a un liberto del genero di Augusto, esteso su circa 2500 mq, con uno straordinario apparato decorativo, ma anche la cinta muraria e alcuni edifici pubblici di età augustea, quali l’anfiteatro e le terme.
Già, perché, in località Civita, tra il raccordo autostradale che collega l’A3 Salerno-Reggio Calabria con Avellino e il centro abitato di Atripalda, il cancello del Parco continua a rimanere chiuso. E’ così dal maggio 2011 per effetto della sentenza del Tar di Salerno che aveva ordinato la riconsegna alla famiglia Dello Iacono, proprietaria dell’area. Potrebbe sembrare l’ennesima storia di abbandono che si trasforma in degrado, ma non lo è. Prima della chiusura, nel 2004 erano stati stanziati dai fondi FAS 2.388.674,27 euro, utilizzati nel 2008 per “scavo archeologico e restauro architettonico”. I danni causati dalla mancanza di manutenzione e dalla nevicata del 2012, che provocò il crollo delle tettoie di protezione, furono poi superati grazie al finanziamento da 2 milioni e 217 mila euro. Infine fu realizzato anche un nuovo percorso pedonale di accesso al parco dal vecchio decumano di rampa San Pasquale. Eppure “il sito è temporaneamente chiuso”, come si legge sul sito della Soprintendenza archeologica della Campania.
Sul posto ci sono anche alcuni custodi, forzatamente inoperosi in attesa che il giudice del Tribunale di Avellino decida sul contenzioso esistente dall’inizio degli anni Settanta tra la Soprintendenza archeologica, che cura il bene, e la famiglia Dello Iacono, già proprietaria dell’area. La storia è caratterizzata da un susseguirsi di determinazioni e ricorsi avviati nel maggio 2011 dalla sentenza del Tar di Salerno che aveva ordinato la riconsegna alla famiglia Dello Iacono, dopo il provvedimento di acquisizione coattiva da parte del ministero per i Beni e le Attività Culturali del febbraio 2009. LA disputa è proseguita nel 2012 con il sequestro preventivo del sito archeologico e l’affidamento alla Soprintendenza e l’iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa di danneggiamento del patrimonio archeologico di Mario e Giovanni Dello Iacono. Continuato tra decreti di esproprio, prima emessi e poi sospesi.
Certo il lavoro è tutt’altro che concluso. “Da 1500 mq. siamo passati a dodicimila. C’è stato un ampliamento dello scavo sul fronte del decumano, con il vecchio sistema fognario, con l’emersione di botteghe e caseggiati e il completamento della copertura sulla domus con affreschi e marmi di grande pregio. E non è l’unica villa presente lì, ma c’è necessità di proseguire gli scavi. E servono nuovi fondi”, ha detto a gennaio 2015 l’architetto Sessa, Direttore del lavori del parco archeologico. Fondi pari a 2 milioni e 265mila euro stanziati dal Comune, necessari per la valorizzazione del parco, oltre che la tomba a camera di via Tufara.
Ma il problema più grande, al momento, sembra quello di riaprire il cancello agli scavi. Per evitare il paradosso che mentre dentro è quasi tutto a posto, i turisti continuano a rimanere fuori.
Foto concesse da AtripaldaNews