“Mostruoso! Come si fa a togliere un bambino alla propria madre dopo che lo ha portato in pancia per nove mesi?” Ha gridato la mamma di Martina Levato alla decisione del pm di togliere il bambino alla figlia. “Quella che è avvenuta è un’atrocità – replica Patrizia Ravasi, la nonna paterna – Martina è stata condannata solo in primo grado. Non farle vedere il bambino è una lesione dei suoi diritti fondamentali.”
Si può capire lo stato d’animo delle persone coinvolte in questa drammatica vicenda; in un momento che dovrebbe essere di grande gioia diventa di grande dolore, come se non ce ne fosse già abbastanza per l’azione criminosa che ha portato i protagonisti di questa storia allo stato delle cose, ma è stata comunque una decisione presa dal Tribunale dei minori che ha dato istruzioni all’ospedale Mangiagalli di Milano, e non certamente dal personale medico. Nessuno dei parenti prossimi, né la nonna materna – allontanata prima del parto – né la nonna paterna, hanno potuto assistere al parto. Come pure il padre del bambino, Alessandro Boettcher, che nei giorni scorsi aveva chiesto di essere presente all’evento. I giudici avevano rigettato la domanda. Come pure rigettata è stata la domanda di Martina di trascorrere ai domiciliari i primi sei mesi della vita del figlio con lui. Motivazione del rigetto da parte dei giudici: il rischio di “reiterazione del reato”.
Ufficialmente, il bambino non ha ancora un nome, ma qualcuno fa sapere che i genitori vorrebbero chiamarlo Achille.
Né la mamma né i nonni quindi, potranno vedere Achille in attesa che i giudici decidano sul suo futuro. Dimessa dall’ospedale, Martina sarà trasferita all’Icam, la struttura milanese per madri detenute con figli piccoli. Nei prossimi giorni, ma forse già domani lunedì, i giudici dei minori dovranno decidere se il neonato possa stare con la madre all’Icam o debba invece essere adottato da un’altra famiglia. Una soluzione, fortemente avversata dai nonni che hanno più volte detto di volersi far carico del bambino.
Per una volta, la parola “adozione” sembra una bestemmia. Oltre ai genitori – che come pena accessoria alla loro condanna – 14 anni – è stata applicata “l’interdizione legale” con la decadenza della “responsabilità genitoriale”, ed essendo di primo grado non ancora esecutiva – ci sono quattro nonni a reclamarne l’”affidabilità”. Eppure, mai come in questo caso, una decisione sarà tanto sofferta.
Di sicuro c’è che in questo clima di faziosità e ostilità, e di dolore, anche i nonni che reclamano il bambino e che vorrebbero solo il suo bene, la serenità non sembra pane quotidiano. Dietro la formula “per il bene del bambino” si nasconde spesso una un’idea di “bene” che non è detto che farà bene. Ma è solo un dubbio. Il dubbio che a pagare siano sempre gli innocenti.