Pur di conquistare qualche voto gli industriali della paura userebbero qualsiasi mezzo e soprattutto qualsiasi slogan, anche i più cinici ed atroci.
Da qualche ora il capo della Lega, Salvini, ha cominciato a parlare del “genocidio del popolo italiano”; lo strumento di questa “strage” sarebbero i migranti, i rifugiati, quelli che riescono a non morire prima dentro le stive di un barcone.
In qualsiasi altro paese simili espressioni sarebbero liquidate in poche righe, qui invece diventano spunto per i titoli del tg e per il dibattito politico estivo.
Eppure basterebbe, dopo aver rapidamente riportato l’ultima dichiarazione, contestualizzarla e ricordare quando, come e perché sia stata introdotta la parola genocidio.
Si potrebbe scoprire così che il diritto internazionale e l’Onu definiscono genocidio: “Il metodico sterminio di un gruppo etnico, razziale, religioso, compiuto attraverso lo sterminio degli individui e l’annullamento dei valori e delle identità culturali…”.
Potrebbe rivelarsi utile apprendere che il termine fu introdotto, tra gli altri, da Raphael Lemkin, giurista polacco, di origine ebraica, studioso del massacro armeno e dell’Olocausto.
Sono stati definiti genocidi quello subito dagli ebrei, dagli armeni, dai contadini ucraini ad opera di Stalin, dai Tutsi in Ruanda, dai cambogiani ad opera dei “Kmer Rossi”, dai musulmani in Bosnia, anche se in taluni casi non sono mancate e non mancano le polemiche storiche e politiche.
Il genocidio per eccellenze è stato comunque lo sterminio degli ebrei, definito Olocausto. Quello sterminio, sarà bene ricordarlo anche a Salvini e ad alcuni dei neofascisti che lo appoggiano, vide il concorso delle camicie nere italiane, in qualità di delatori, collaborazionisti ed autori degli arresti e dei massacri.
Sulla immigrazione, sulle politiche di accoglienza, sui ritardi dell’Europa e dell’Italia, tutte le opinioni sono legittime e sarebbe un grave errore sottovalutare il disagio, profondo e reale, che attraversa l’Italia e soprattutto le aree più colpite dal fenomeno, ma un conto è comprendere il disagio e ascoltare la rabbia, altro è invece soffiare sul fuoco ed usare parole destinate a scavare un fossato in primo luogo tra gli italiani medesimi.
Le parole di Salvini, e non solo le sue, non potranno che suscitare una reazione altrettanto forte in chi opera per la sicurezza, ma anche per l’accoglienza, il dialogo, il rispetto dei diritti delle persone a prescindere da ogni connotazione di razza, di credo, di colore della pelle.
Per altro sarebbe un grave errore lasciare questa reazione alla Chiesa o ai soli vescovi, perché questi valori sono patrimonio anche di milioni di italiani non credenti o diversamente credenti.
Molti di questi italiani, nel volontariato e nell’associazionismo, lavorano per costruire ponti ed impedire un muro contro muro che porterebbe ad uno dei più sanguinosi conflitti della storia contemporanea.
Quanto al “genocidio” i volti, le facce, le storie di chi scappa dai campi di prigionia di Siria, Libia, Yemen, per fare qualche esempio, sono le stesse di chi ha lasciato la propria esistenza nei lager nazisti o nei gulag stalinisti.
Loro sono davvero l’oggetto di un progetto di sterminio e di annullamento programmato dai signori della guerra, dai terroristi dell’Isis da regimi che, talvolta, sono stati armati da fabbricanti d’armi che risiedono nella cosiddetta “Padania” e che, magari, in queste ore plaudono ai piazzisti di odio; anche perché loro, grazie all’odio, hanno sempre fatto un sacco di soldi e sperano di continuare…