Non solo il delicato passaggio del ddl Boschi di revisione costituzionale: da settembre, infatti, tornano in Aula altri delicati dossier. Dalla riforma del processo penale con intercettazioni annesse, alla legge sul conflitto di interessi, dallo ius soli al reato di tortura, dalle unioni civili alla nuova governance della televisione pubblica. In mezzo ci sono le aperture a Forza Italia, il Vietnam parlamentare minacciato dalla minoranza dem e una maggiornaza che a Palazzo Madama scricchiola
La madre di tutte le riforme, ma anche quella di tutte le battaglie. Si preannuncia un autunno caldo per il governo alle prese con il delicato passaggio del ddl Boschi di revisione costituzionale nel campo minato del Senato. Ma non solo. Da settembre tornano in Aula altri delicati dossier. Dalla riforma del processo penale con intercettazioni annesse alla legge sul conflitto di interessi. Dallo ius soli al reato di tortura. Dalle unioni civili alla nuova governance della Rai.
COSTITUZIONE MINATA – A Palazzo Madama, dove i numeri ballano e la maggioranza scricchiola sotto il peso dei 500 mila emendamenti presentati dalle opposizioni alla riforma della Costituzione, preoccupano soprattutto quelli firmati dalla minoranza Pd, che puntano tra l’altro al ritorno all’elettività dei senatori e sui quali potrebbero convergere anche Forza Italia, Movimento 5 Stelle, Lega e Sel. Un muro contro il quale l’esecutivo rischia di andare a sbattere nonostante il soccorso del gruppo dei neo-responsabili guidati da Denis Verdini. Non è un caso che, nelle ultime ore, si siano moltiplicati gli appelli dei vertici dem agli azzurri. L’ultimo arrivato dal vice segretario del Pd, Lorenzo Guerini: “Berlusconi torni al tavolo, noi siamo pazienti e attendiamo”. Insomma, la resurrezione del Patto del Nazareno sembra al momento la soluzione più logica per uscire indenni dall’annunciato Vietnam parlamentare. Anche al prezzo di rimettere in discussione l’Italicum (la legge elettorale appena approvata dal Parlamento), cancellando il premio di maggioranza alla lista per consegnarlo alla coalizione come chiede FI? L’alternativa, in realtà, ci sarebbe: silenziare e mettere in riga la minoranza dem con un giro di vite sui regolamenti dei gruppi parlamentari del Partito democratico. Ma con il rischio di accelerare una possibile scissione del Pd senza peraltro superare la precarietà dei numeri.
ETERNO CONFLITTO – L’ultimo a chiederla, in ordine di tempo, è stato il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella: “Come abbiamo segnalato al Parlamento, occorre una legge sul modello anglosassone”. Ad agitarne lo spauracchio, a maggio di quest’anno, era stata invece Maria Elena Boschi. “Porteremo il conflitto d’interessi in Aula già a giugno”, affermava convinta la ministra per le Riforme. Ma il provvedimento che dovrebbe mandare in soffitta la legge Frattini (2004), che sanziona solo i conflitti d’interessi sopravvenuti e non quelli preesistenti (motivo per cui il consiglio d’Europa l’ha bocciata) è prossimo a finire su Chi l’ha visto? Circa tre mesi fa, in commissione Affari costituzionali a Montecitorio, si era addirittura deciso di formare un comitato ristretto, composto da un rappresentante delle varie forze politiche, per accorciare i tempi e produrre un testo da mandare in Aula il prima possibile. Invece si è ottenuto l’effetto opposto. “Il lavoro del comitato non è nemmeno iniziato”, spiega a ilfattoquotidiano.it la deputata di Sel, Celeste Costantino. “Credo addirittura che sarebbe meglio scioglierlo – aggiunge – e se alla ripresa dei lavori parlamentari le cose non dovessero cambiare sia noi sia il Movimento 5 Stelle siamo pronti ad abbandonarlo. È una presa in giro, non si è trovata nemmeno la quadratura del cerchio sulla definizione di conflitto d’interessi”.
VOGLIA DI BAVAGLIO – Capitolo giustizia, altro campo minato. Nella pentola della riforma del processo penale bolle l’atteso giro di vite sulle intercettazioni. Un ritorno di fiamma, quello tra la maggioranza e la voglia di bavaglio, riaccesa dalla pubblicazione da parte del Fatto Quotidiano dell’intercettazione in cui Renzi, parlando col generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi, dava dell’“incapace” a Enrico Letta, un mese prima di defenestrarlo e prendere il suo posto a Palazzo Chigi. Per non parlare della vicenda dell’intercettazione ‘fantasma’ pubblicata dall’Espresso, ma la cui esistenza è stata smentita dalle procure siciliane, che rischiava di far crollare la giunta regionale guidata da Rosario Crocetta che ha fornito l’ultimo pretesto per la stretta. Per ora l’idea di stralciare la delega sulle intercettazioni dal resto della riforma è stata accantonata. Ma la questione resta aperta e, da settembre, i nodi verranno al pettine.
IUS SOLI IN SALITA – Il presidente del Consiglio la chiede dal 2012, da quando era ancora sindaco di Firenze. Poi c’è stata la campagna per le primarie, la conquista del partito e, in ultimo, la presa di Palazzo Chigi. Ma la legge sul cosiddetto ius soli (cioè il diritto di cittadinanza agli immigrati acquisito automaticamente dalla nascita in un territorio), al momento, rimane fra le questioni che son sospese. Al ritorno dalla pausa estiva, comunque, il Parlamento tornerà ad occuparsene. Pochi giorni prima di andare in vacanza la commissione Affari costituzionali della Camera ha infatti approvato il testo base sulla riforma della cittadinanza. Il provvedimento, presentato dalla deputata del Pd Marilena Fabbri, introduce il cosiddetto ius soli ‘soft’ (o “temperato”). Ma il dibattito in Aula si preannuncia già infuocato. Con Area Popolare, alleato di governo del Pd, che sebbene non abbia fatto mancare i suoi voti in commissione, ha già chiarito che si è trattato di “una questione puramente tecnica”. E si prepara a presentare una serie di emendamenti al provvedimento. Insomma, non certo delle premesse per un inizio in discesa.
UNIONI RITARDATARIE – C’è il braccio di ferro tra partito democratico e Area Popolare anche dietro i ritardi per l’approvazione della legge sulle unioni civili. Che arrancano a passo di lumaca nonostante la promessa del presidente del Consiglio, Renzi, di portare entro Pasqua il provvedimento al voto di Palazzo Madama. Dove, intanto, in commissione Giustizia, la proposta di legge è stata subissata da circa 1.500 emendamenti. Adozioni e pensioni di reversibilità sono i paletti posti dagli alfaniani su cammino del provvedimento. Un’altra grana per il capo del governo e segretario del Pd che, alle prese con l’agguerrita minoranza interna, non può certo permettersi ulteriori fibrillazioni in seno ad una maggioranza che, soprattutto al Senato, naviga ormai a vista e sul filo dei numeri.
TORTURA AL PALO – Se ne parla dal 1988, anno in cui l’Italia ha ratificato la convenzione Onu a riguardo. Ma neanche i fatti del G8 di Genova del 2001 (e la seguente condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo) hanno portato alla soluzione del problema. Per l’introduzione del reato di tortura sembrava essere finalmente arrivata la “volta buona”. Tanto che l’idea era quella di chiudere la partita prima della pausa estiva. Invece il testo approvato il 9 aprile scorso dalla Camera (definito “mediocre” dal senatore del Pd, Luigi Manconi), è passata all’esame della commissione Giustizia del Senato presieduta dal forzista Francesco Nitto Palma dove, secondo le associazioni di categoria, è stato stravolto e ora rischia l’affossamento. Non sarebbe la prima né l’ultima volta. Fra l’altro, dopo l’eventuale via libera del Senato (dove il testo non è stato ancora calendarizzato in Aula), il provvedimento dovrà tornare a Montecitorio. Il tutto nel mezzo dell’esame degli altri provvedimenti. Legge di stabilità compresa.
RAI SENZA FRETTA – Doveva essere l’emblema della rottamazione, al grido “via i partiti da Viale Mazzini”, e invece, sulle frequenze della Rai è andata in onda finora solo la vecchia lottizzazione. Con la benedizione del nuovo esecutivo che, mentre si allungano i tempi della riforma della governance sulla quale nessuno sembra avere più fretta, ha preferito rinnovare i vertici con la vecchia legge Gasparri. Se ne riparlerà a settembre, anche in questo caso, dopo che il governo s’è visto sfilare dalle mani la delega per la revisione del canone Rai, soppressa con i voti convergenti di FI, Lega, M5S, Sel e della minoranza dem.
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