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Lo Yuan, moneta ufficiale della Repubblica Popolare della Cina, si è svalutato in soli tre giorni di circa il 3%, e questo, specialmente nei media che si occupano di economia e finanza ha suscitato subito una sfilza di titoli preoccupati per quello che potrebbe ora succedere a livello internazionale.

L’economia cinese è già, dal 2014, la prima potenza globale nelle esportazioni, con 2.252 mld. di dollari, seguita dall’Europa con 2.173 e dagli Usa con 1.610, questa svalutazione dello Yuan sul Dollaro viene vista quindi in alcuni commenti come un segnale di difficoltà interna nel rigido sistema di controllo cinese, che non riuscirebbe più a mantenere, col precedente livello di cambio, lo stesso “stellare” volume di esportazioni e di crescita economica che hanno consentito alla Cina di diventare, in un decennio, una grande potenza economica globale, avviata, secondo molti esperti, a diventare leader mondiale anche nel Prodotto interno lordo nel giro di un paio d’anni.

E cosa fa una potenza economica quando vuole “spingere” sulle esportazioni per sostenere l’economia interna? Ormai credo che lo sappiano tutti: svalutano la propria moneta! Dopo l’inizio della “Grande recessione” del 2008 lo ha fatto in grande stile la Federal Reserve americana, ma poi, chi più chi meno, lo hanno fatto tutte le altre grandi potenze globali: Europa, Gran Bretagna, Svizzera, Svezia, Giappone, etc. (non sono in ordine cronologico). Quindi mancava solo la Cina, che forse non lo ha fatto prima solo per non voler cedere a questi espedienti da mondo capitalista. Però… quando conviene, perché no? Tra l’altro, quella di lasciar decidere ai mercati la quotazione delle valute, è una delle richieste che il Fondo Monetario Internazionale fa alla Cina da anni, per inserire la valuta cinese tra quelle ufficiali trattate nei panieri internazionali.

Questa svalutazione però non è certo sufficiente a soddisfare le regole liberiste del Fmi, e comunque è perfettamente presumibile che il Partito Popolare Cinese preferisca mantenere rispettose distanze dal pericoloso “virus” capitalista, infatti ha già avviato da tempo, con gli altri partner dei paesi “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) la creazione della New Development Bank una banca avente le stesse funzioni del Fmi.

Dunque tutto questo allarmismo dei giorni scorsi sulla svalutazione del renmibi (o yen, che è la stessa cosa) è aria fritta, che basta però a far starnutire i sensibilissimi “nasi” delle piazze finanziarie globali, sempre in cerca di qualche scusa per movimentare un po’ le quotazioni. Fanno un po’ come i “grandi” calciatori quando corrono verso la porta: basta stargli vicino anche senza toccarli e si buttano a terra urlando di dolore come se fossero stati colpiti da una fucilata, salvo rialzarsi poco dopo e tornare a correre più di prima.

In realtà la Cina, tramite la propria banca centrale, la People Bank of China, ha sempre mantenuto una propria totale autonomia nel definire il valore di cambio dello yuan sulle altre valute. Per lunghi periodi ha sostenuto le proprie esportazioni accumulando dollari e lasciando il cambio invariato (effettuando così una sostanziale svalutazione dello yen), ma negli ultimi anni ha gradualmente lasciato che lo yen si apprezzasse, ottenendo persino dal Fmi, nel maggio scorso, il riconoscimento che lo yen non è più sottostimato. Ora però che tutti i grandi paesi hanno svalutato e che le esportazioni cinesi sono in calo, occorre invertire la rotta.

L’accusa che fanno alla Cina di “intervenzionismo” sui cambi quindi non è falsa, ma cosa si dovrebbe dire allora dell’Euro, che si è svalutato di oltre il 30% sul Dollaro in pochi mesi solo a partire dal 2014? Erano tutti addormentati i nostri superpagati economisti negli anni dal 2010 al 2014? O sono di colpo diventati intervenzionisti lo scorso anno?

Adesso la banca centrale cinese ha deciso di adeguarsi un po’ più celermente ai valori di mercato della propria moneta. Pur senza lasciare completa libertà al mercato di decidere, ha stabilito di valutare l’indicazione del mercato alla fine di ogni sessione quotidiana, se riterrà opportuno deciderà autonomamente di intervenire sulla quotazione nell’apertura del giorno successivo, altrimenti lascerà il valore invariato.

La svalutazione dello yuan perciò, a meno che si spinga molto oltre la quotazione attuale (difficile da credere oggi), provocherà solo qualche “starnuto” nei saloni delle borse, ma nessun terremoto finanziario.

Un pericolo ben maggiore sull’economia globale potrebbe provenire invece dalla sostanziale “frenata” dell’economia Usa che potrebbe verificarsi a seguito del più che probabile rialzo dei tassi che la banca centrale americana attuerà in settembre. Ma di questo ne parleremo un’altra volta…

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