Walter Zamuner ha cominciato nel 2010, "piantando qualche bulbo vicino a casa". Poi la quantità è aumentata e il guadagno anche, nonostante sia una coltura lontana dalla tradizione locale. E ora, insieme ad altri giovani, punta a creare un distretto ad hoc con certificazioni e tutele. "La mia idea di cibo? Opposta rispetto al 'baraccone' di Expo"
In nomenclatura è classificato come crocus sativus, un fiore violaceo. I suoi stimmi, una volta essiccati, diventano quello che comunemente è chiamato zafferano. Come molte spezie della nostra cucina, furono esploratori e mercanti a portarlo dall’India in Europa attraverso la via della Seta. Alcuni documenti testimoniano che la coltura di questo fiore fosse nota in Sicilia e in Sardegna già dal Medioevo. Ambiente secco, terreno drenante per evitare i ristagni, meglio se con un terriccio leggero e sabbioso: queste le caratteristiche per una resa ottimale della pianta, non a caso i maggiori produttori nostrani sono la Sardegna e il Centro Italia.
Walter Zamuner non abita in nessuna di queste regioni, ma ha scelto di intraprendere la coltura dello zafferano nella provincia di Pordenone, più precisamente a San Quirino, in una zona (Magredi) in cui la terra asciutta e apparentemente improduttiva.
“Ho cominciato nel 2010 piantando qualche bulbo in un terreno vicino a casa” racconta Zamuner. “Anche se non è tradizione della nostra zona, mi è sempre piaciuta l’idea di coltivare in Friuli una spezia antica”. Per le sue proprietà benefiche e perché, nonostante il grande impegno che richiede, consente buoni margini di guadagno. “Dopo il primo raccolto ho fatto assaggiare lo zafferano a un amico ristoratore e il suo entusiasmo per il risultato mi ha incoraggiato ad aumentare il numero di bulbi”, continua Walter, che l’anno scorso ha ottenuto 350 grammi di zafferano. Tutto venduto nel giro di un mese. Per arrivare a questo risultato ha piantato 70mila bulbi. A novembre raccoglierà gli stimmi di 250mila fiori piantati in un ettaro di terreno.
“Le parti più faticose del lavoro sono due: il mantenimento del terreno e il raccolto, che deve essere fatto a mano”, spiega. “Dopo aver mondato i fiori, gli stimmi vengono essiccati immediatamente con aria calda a 40 gradi e se si aspettasse il giorno dopo si perderebbero le virtù qualitative. Secondo le mie stime, a un chilo di zafferano corrispondono 500 ore di lavoro manuale, per questo ha un costo di mercato di 18mila euro al chilo”.
Walter vende la sua spezia rossa direttamente ai ristoratori o nei mercatini alimentari. Lo scorso novembre lo zafferano di San Quirino ha vinto il Premio Bandiera verde dalla Confederazione italiana agricoltori e in seguito Walter ha partecipato anche a trasmissioni tv. Il prodotto è arrivato anche a Expo, dove lo chef Rubio ha dimostrato che questa spezia non è solo risotto alla milanese ma che si può usare dagli antipasti ai dolci. L’esposizione universale, però, non corrisponde all’idea che ha Zamuner di agricoltura e alimentazione: “Insieme a otto ragazzi stiamo mettendo in piedi una rete di impresa per creare un distretto dello zafferano di San Quirino con certificazioni e tutele. La mia idea di cibo è proprio l’opposto rispetto a quello che regge il ‘baraccone’ di Expo – dice – Credo alle realtà locali, non allo strapotere delle multinazionali“.
E spiega che lo zafferano “dà molto in termini economici, ma da sola non basta a mantenersi”. Per questo prosegue in parallelo anche la sua attività di “apicoltore”, mentre “altri della rete d’impresa hanno piccoli allevamenti o altre colture”. Tutto è iniziato con “una collaborazione con un laboratorio analisi di Trieste“: vogliono “sequenziare il Dna della pianta e creare una banca dati per trovare altre varianti genetiche più resistenti, per esempio, alla siccità o all’umidità. Puntiamo a ottenere la certificazione di purezza al 100%, visto che l’80% dello zafferano mondiale è contraffatto o tagliato con altre spezie rosse”.