Augusta Pozzi, psicoterapeuta infantile a Milano, commenta a ilfattoquotidiano.it la vicenda della "coppia dell'acido" a cui è stato tolto per precauzione il figlio nato a ferragosto. "Il piccolo avrà la possibilità di creare un attaccamento, cioè un legame primario, con la famiglia adottiva. Il giudice ha fatto bene"
“Per una volta tanto, il nostro sistema è stato efficiente e ha garantito il diritto di un minore senza spreco di tempo e sofferenza”. Augusta Pozzi, psicoterapeuta infantile a Milano, commenta a ilfattoquotidiano.it la vicenda della “coppia dell’acido” a cui è stato tolto per precauzione il figlio nato a ferragosto e ricoverato nella clinica milanese Mangiagalli. A Pozzi abbiamo chiesto di spiegarci quali sono le conseguenze psicologiche della separazione nella madre e nel figlio, anche alla luce del provvedimento dei giudici del Tribunale di Milano, che hanno avviato la procedura di adottabilità pur consentendo alla 23enne di vedere il bimbo una volta al giorno e insieme a un assistente sociale.
E’ una punizione per il bambino essere separato alla nascita dalla madre naturale?
No, il bambino proprio perché appena nato non vive il distacco come un abbandono. Avrà la possibilità di creare un attaccamento, cioè un legame primario, con la famiglia adottiva. Quindi a livello psicologico avrà solo due genitori, quelli d’adozione. Il giudice ha fatto il bene del piccolo.
In futuro potrà trasformarsi in un trauma?
No, ripeto, per il bambino non ci sono svantaggi. Non sono tutti traumatizzati i bambini adottati. Se la verità gli verrà detta in maniera adeguata, con l’aiuto di psicologi e psicoterapeuti, verrà vissuta in modo normale senza provocargli disagi.
Il legale avrebbe detto che Martina Levato è una madre “disperata” e “distrutta”. La separazione forzata dal figlio può aggravare il suo quadro clinico?
No, può essere solo un vantaggio per lei.
In che senso?
Quel dolore può diventare l’occasione per diventare consapevole dei suoi errori, delle sue responsabilità e del motivo per cui il pm ha deciso di toglierle il figlio in fasce. Quel dolore potrà diventare una finestra su un altro dolore che cova da una vita dentro di lei e che l’ha portare a fare quel che ha fatto. Ovviamente perché l’evoluzione sia possibile la donna deve essere seguita molto bene, da una psicoterapeuta e con l’aiuto di una terapia farmacologica. A quel punto, quando sarà consapevole, non sentirà più il vuoto del figlio e capirà che è stato fatto il suo bene.
Crede che il dolore che prova adesso sia reale?
Dovrei vederla e parlarle per farmi un’idea più chiara. L’attaccamento durante la gestazione certo che si crea. Ma ora non so se piange per la perdita del bambino oppure perché sente che qualcosa le è stato sottratto essendo lei abituata ad aggredire l’altro. La persona borderline è molto complessa e difficile. Perde il contatto con la realtà e con se stessa, racconta quasi sempre bugie, non è sincera, ha sempre un livello di rabbia molto alto. È il risultato di una serie di traumi emozionali vissuti soprattutto nei primi anni dell’infanzia se la famiglia non colma i bisogni affettivi, non sa contenere i disagi del bambino, magari è esigente e mal tollera sbagli e imperfezioni.
In futuro potrebbe essere stata una buona madre?
Non lo so. Quello di cui sono certa è che quel bambino non è stato pensato. La gravidanza non ha placato i suoi impulsi violenti, non l’ha fermata dal reato, non si è minimamente preoccupata di quello che avrebbe potuto subire il figlio una volta nato. Quando un bambino è pensato è frutto di un amore e riempie l’aspetto genitoriale della coppia. Ma in questo caso quella coppia è una fabbrica di dolore.