Hanno risposto a tutte le domande dei magistrati i due presunti killer accusati dell’omicidio dei coniugi Seramondi, freddati nella loro pizzeria di Brescia.
I due sono stati ascoltati in carcere per più di due ore durante l’interrogatorio di garanzia. Il gip del Tribunale di Brescia Giovanni Pagliuca non ha ancora sciolto la riserva sulla convalida dei fermi, ma a oltre una settimana dall’omicidio emerge una spaccatura tra i due: l’indiano, Sarbjit Singh, si è dissociato dal complice, dichiarando di non sapere che il pakistano, Muhammad Adnan, avesse intenzione di uccidere. Pensava si trattasse di dover dare una “lezione“, e per questo gli erano stati dati 500 euro, ricostruisce l’Ansa.
Il pakistano però, considerato l’autore materiale dell’esecuzione, ha confermato il suo movente. “Continua a ripetere di aver sparato per la concorrenza che il suo locale aveva con quello della pizzeria da Frank” ha riferito il suo legale, l’avvocato Claudia Romele. In merito all’arma utilizzata, un fucile a canne mozze che risulta rubato, il pakistano ha detto di averlo comprato da una terza persone “di cui però non ha detto il nome” ha aggiunto il suo avvocato.
Diversa la versione fornita dall’indiano. “Ha confermato di essere stato chiamato per fare ‘da spalla’ e di aver ricevuto 500 euro di 5mila che gli erano stati promessi – ha detto il suo legale, Nicola Mannatrizio – ma non sapeva cosa andassero a fare a bordo del motorino. Si è reso conto della situazione solo quando il pakistano ha estratto il fucile”. “Il mio assistito ha anche detto aver urlato di non sparare” ha aggiunto l’avvocato. I due si sarebbero conosciuti tempo fa. L’indiano aveva chiesto di lavorare nella pizzeria del pakistano.
Diverse anche le posizioni sull’agguato compiuto un mese prima ai danni di Corri Arban, il dipendente dei Seramondi ferito ad inizio luglio con alcuni colpi di pistola. Per gli inquirenti sarebbero stati gli stessi due uomini a sparare, ma l’indiano nega: “Io non c’ero”. Mentre il pakistano ha dichiarato: “Io c’ero, ma non ho sparato”. L’arma usata quella notte, una pistola, non è mai stata ritrovata. Non si esclude, dunque, l’ipotesi di un terzo uomo che avrebbe armato i killer.
Nel frattempo proseguono le indagini della Squadra mobile sui conti correnti delle vittime dopo il ritrovamento di un tesoretto da 800mila euro in contanti recuperato a casa dei coniugi Seramondi e del figlio Marco. Soldi che portano gli inquirenti a non escludere che dietro il movente della strage possa esserci l’usura. “Con l’aiuto della Guardia di Finanza stiamo scandagliando i conti delle attività dei Seramondi – ha confermato il questore di Brescia, Carmine Esposito -. Presto potremo avere risposte alle domande sugli aspetti economici oggi non chiari”.