Abbiamo visto la trappola dei fondi comuni d’investimento imboscati all’estero, che un risparmiatore non competentissimo fa bene a liquidare senza esitazioni. Vale lo stesso per quelli italiani? La risposta arriva dal recente aggiornamento della ricerca: “Dati di 961 fondi e sicav italiani (1984-2014)“.
In Italia le analisi sui fondi comuni hanno sostanzialmente due provenienze. Da un lato finti uffici studi, società cosiddette indipendenti ecc. che sfornano tabelle, confronti ecc. finalizzati solo a promuovere il risparmio gestito. Dall’altro l’ufficio studi (vero) di Mediobanca, che dal 1992 spulcia i bilanci dei fondi comuni italiani e smaschera le menzogne che stanno alla base del loro successo. Al riguardo fa piacere constatare che nulla è cambiato col pensionamento di Fulvio Coltorti, per decenni a capo della struttura di ricerca e comunque tuttora presidente emerito.
Prendiamo per esempio gli oneri di gestione, sottratti ai risparmiatori a fronte di un servizio deficitario. Di regola i tanto decantati money-manager ottengono infatti risultati peggiori degli obiettivi da loro stessi enunciati (c.d. benchmark). Dai dati della Tabella I si ricava, con semplici calcoli, che nell’arco degli ultimi 30 anni l’industria del risparmio gestito ha decurtato i capitali affidatigli mediamente del 32%. In realtà il danno subito è maggiore, fra l’altro perché i bilanci dei fondi non riportano le commissioni di ingresso e uscita, che sono ugualmente soldi sottratti ai risparmiatori.
Interessante notare (Tabella II) come il reddito fisso rappresenti il 60% sul totale di tutti i fondi e addirittura il 70% per i fondi pensione chiusi. Facile sbandierare buoni rendimenti con così tante obbligazioni! L’anno scorso i titoli di Stato italiani, esclusi quelli brevi, hanno reso un 13% netto; e i Btp a sette-dieci anni addirittura il 16,7%. Preoccupante inoltre il 24% investito dai fondi pensione aperti in altri fondi, come media degli ultimi dieci anni. Un subappalto della gestione che elimina ogni straccio di trasparenza e tiene ben nascoste eventuali malversazioni.
Grave è anche l’indice di rotazione (Tabella V), che per gli ultimi anni per i fondi aperti va da 1,3 a 1,9 che significa mediamente rivendere e ricomprare tutto il portafoglio due volte: tante commissioni a vantaggio di intermediari e tante occasioni per ruberie, sempre in totale assenza di trasparenza.
L’intera ricerca è scaricabile da Internet ed è anche possibile riceverne gratuitamente una copia cartacea, che è però una pubblicazione poco adatta come lettura estiva. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento risparmio gestito segnalo infine le mie pagine web all’Università di Torino.
Versione aggiornata e ampliata dell’articolo apparso su il Fatto Quotidiano di lunedì 17 agosto 2015