L’attentato del Cairo, rivendicato dallo Stato islamico, è molto simile per quantità di esplosivo e strategia a due attacchi contro sedi delle forze di sicurezza avvenuti nel 2013. Il primo a Mansoura nel dicembre del 2013 e il secondo al Cairo il mese dopo, quando alla vigilia del terzo anniversario della rivoluzione egiziana un auto carica di esplosivo sfondò l’ingresso della direzione generale della polizia causando 4 morti. E a rivendicare i due attentati fu Ansar Bayt al Maqdis, unico gruppo che al momento in Egitto ha giurato ufficialmente fedeltà al califfo nel novembre del 2014. Il comunicato diffuso oggi porta la firma “Stato Islamico Egitto“, firma apparsa per la prima volta nella rivendicazione della bomba contro il consolato del Cairo lo scorso 11 luglio.
Negli ultimi due mesi la capitale egiziana è stata colpita da una nuova escalation terroristica. Il 29 giugno una bomba ha ucciso il procuratore generale Hisham Barakat, attentato che sino a ora non è mai stato rivendicato. Alcuni giorni dopo, dei militanti affiliati alla Provincia del Sinai hanno attaccato diverse postazioni e edifici militari nella penisola al confine con la Striscia di Gaza provocando decine di morti. Sempre il mese scorso un’esplosione ha danneggiato il consolato italiano del Cairo mentre sui social diversi account vicini allo Stato Islamico hanno rivendicato la decapitazione di Tomislav Salopek, cittadino croato rapito a poche decine di chilometri dal Cairo il 22 luglio.
In risposta il governo egiziano ha elaborato una nuova legge antiterrorismo, approvata alcuni giorni fa dal presidente Sisi, che istituisce dei tribunali speciali e inasprisce le pene per i reati di terrorismo. Il nuovo testo ha suscitato diverse critiche da parte degli attivisti dei diritti umani anche a causa dell’articolo che punisce i giornalisti con multe dai 25mila ai 63mila euro per chi riporta dati differenti da quelli diffusi dalle autorità ufficiali.
Secondo molti analisti, il nuovo giro di vite del governo non avrà ripercussioni sull’attività terroristica nel paese ma andrà a restringere i già esili spazi di libertà politica e di pensiero. Shadi Hamid, ricercatore del centro per gli studi mediorientali alla Brookings Institution, in una lunga analisi su Foreign Policy ha affermato che il regime di Abdel Fattah El Sisi è un regalo allo Stato Islamico. “La repressione sta producendo una nuova generazione di terroristi”, scrive Hamid sul magazine americano. “Il presidente Sisi ha fatto della stabilità e della sicurezza la sua ragion d’essere ma il paese non è mai stato così vulnerabile”.