Nella sua storia la penisola Coreana, ponte strategico importantissimo tra la Cina e il Giappone, ebbe un rilievo sempre maggiore sin dalla metà del primo millennio. L’espansione a macchia d’olio del Confucianesimo e del Buddismo giocarono un ruolo fondamentale nell’influenzare e smuovere la geopolitica interna della Corea. La penisola Coreana, al tempo, era composta da tre regni – Koguryŏ (al Nord), Paekche (a Sud-Ovest) e Silla (a Sud Est) – le cui origini risalgono all’inizio del quarto secolo.
Essendo congiunta alla Cina attraverso Koguryŏ, sul limes settentrionale della regione, i tre regni risentirono fortemente dell’innovazione ideologica, religiosa e poi culturale proveniente dall’Impero Cinese. Ma la cronologia storica ci riporta alla guerra 1950-53 conclusasi non con una pace ma con un armistizio che è rimasto tale. Da allora varie scaramucce e minacce compresa l’ultima. A quanto pare il casus belli del recente attacco delle forze nordcoreane, è l’irritazione per i potenti altoparlanti piazzati da Seul lungo il confine della “zona demilitarizzata” una “terra di nessuno” fra i due Paesi nemici, dai quali vengono lanciati di continuo messaggi di propaganda.
La pioggia di granate e di razzi – caduti fino a soli 60 km dalla capitale Seul – ha obbligato circa 800 persone nella provincia di Gyeonggi a evacuare le abitazioni e a cercare riparo nei rifugi. Una ventina di minuti dopo, una nuova gragnola di cannonate a tiro diretto. Pochi minuti dopo, la rappresaglia sudcoreana, con un fitto cannoneggiamento con granate da 155 mm contro le postazioni di lancio nemiche. Malgrado le minacce, il timore statunitense è che la Corea del Nord, paese segnato dalla povertà sempre più dilagante, si doti in futuro di ordigni nucleari che possano essere trasportati su missili balistici intercontinentali. A ciò si aggiungano i timori della Corea del Sud di doversi accollare i costi di una possibile riunificazione. Cifre incalcolabili, tali da stroncare il suo miracolo economico.
Gli americani conservano le loro basi nel Sud non tanto per il timore del Giappone ma per tenere sotto controllo la Cina. La Corea siede nel mezzo di un’area strategicamente cruciale, in cui s’incrociano interessi e destini di alcune tra le maggiori potenze del globo: Cina, Russia, Giappone, Stati Uniti. Geograficamente, la penisola coreana è un’appendice del colosso cinese. Ma se s’infiamma, le conseguenze riguardano l’intera Asia.
I coreani del Nord e del Sud si rivolgono sempre più alla Cina, in nome della comune eredità confuciana e di interessi geopolitici comuni. Il regime cinese tuttavia non ha intenzione di accelerare i tempi dell’unificazione coreana, soprattutto perché nelle condizioni attuali passerebbe per il collasso di P’yo˘ngyang e quindi per l’assorbimento del Nord da parte di un Sud ancora alleato degli Usa. Per Pechino, la soluzione è per ora il mantenimento dello status quo. L’ideale per Pechino resta un regime del Nord antipatico, che si frapponga tra Cina e Usa, ma che non alzi la tensione al punto da dover imbracciare le armi. Ma se mai un giorno vi sarà l’unificazione, non c’è dubbio che la Corea unita sentirà molto l’influenza di Pechino, considerata la sola potenza in grado di porre un freno alle mire più o meno egemoniche di americani, giapponesi e russi.
Torna quindi alla mente il caso del deputato Yu Su˘nghwan. Nel 1986 questo deputato d’opposizione fu incarcerato per aver detto davanti all’Assemblea nazionale: “Bisogna assolutamente che il progetto principale sia la riunificazione e non l’anticomunismo. In un Paese diviso come il nostro, il concetto di riunificazione è talmente importante da dover essere considerato superiore al concetto di comunismo o di capitalismo”.