Dopo il primato economico, i paesi Ocse iniziano a perdere anche quello formativo. Le economie emergenti li stanno sorpassando per numero di giovani laureati. E se continua così, da bacino di lavoro non specializzato a basso costo potrebbero presto diventare attori chiave in settori strategici.
di Piero Martin (Fonte: lavoce.info)
Il mondo dell’istruzione cambia
Anni fa, in aereo da Venezia a Francoforte feci due chiacchiere con un tecnico di un’azienda del Nord-Est che andava in Cina per tenere un corso di formazione su alcuni macchinari che avevano venduto a un’azienda locale. Mi raccontava: “Il mio titolare è contento, questi affari sono molto redditizi. Ma mi chiedo: alla nostra azienda sono serviti anni di esperienza per sviluppare i processi che ora vado a spiegare in due settimane. Certo, oggi è un buon affare, ma quanto può durare? Prima o poi impareranno anche loro, e allora a noi cosa resterà?”. Già, stanno imparando in fretta. Stando a una recente pubblicazione dell’Ocse (EducationIndicators in Focus, aprile 2015) i primi anni di questo decennio vedono il sorpasso dei paesi del G20 non-Ocse (Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Federazione Russa, Arabia Saudita e Sud Africa) nei confronti dei paesi Ocse in termini di numero di adulti di età compresa tra i 25 e i 34 in possesso di una “istruzione terziaria”, che per semplificare identifichiamo con una laurea.
Nel 2005 i paesi Ocse ospitavano il 60 per cento dei 94 milioni di persone tra i 25 e i 34 anni con formazione terziaria. Oggi questi laureati sono saliti globalmente a 150 milioni e la maggioranza risiede nei paesi del G20 non-Ocse: secondo le proiezioni, entro il 2030 ospiteranno il 70 per cento dei laureati nella fascia di età 25-34 (figura 1).
Figura 1 – Numero di laureati nei paesi Ocse e G20. Dati e proiezioni al 2030.
I problemi dei paesi Ocse
Più istruzione è un bene. Un ampio bacino di cittadini con elevati livelli d’istruzione ha permesso a molti paesi di progredire rapidamente in termini economici, sociali, di qualità della vita. Se ciò accadrà per una parte sempre maggiore del mondo, le conseguenze non potranno che essere positive. I paesi Ocse rischiano però di restare indietro. Una spia di un possibile cambiamento epocale viene dalla distribuzione dei laureati tra le varie discipline. Stando alle previsioni Ocse, nel 2030 Cina ed India “produrranno” più del 60 per cento di tutti i laureati in discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) nei paesi Ocse e G20 (figura 2).
Figura 2 – Distribuzione dei laureati in discipline “Stem” tra i paesi Ocse e G20, proiezione al 2030.
Certo, la distribuzione geografica dei laureati è ancora diversa da quella dell’eccellenza accademica. La classifica 2014 di Shanghai – pur con tutte le cautele sulla significatività di queste classifiche – vede infatti sedici università statunitensi tra le prime venti, le altre quattro sono inglesi (tre) e svizzere (una). E anche la distribuzione storica dei premi Nobel, parla di una tradizione solidamente centrata sul blocco nord-americano ed euro-russo (figura 3). Ma gli enormi investimenti fatti da Cina e India per potenziare la qualità del sistema accademico permetteranno loro di recuperare terreno con rapidità.
Figura 3 – Distribuzione di premi Nobel per paese
E se oggi, per molti, i paesi emergenti rappresentano soprattutto un bacino cui attingere per lavoro a basso costo – strategia che ad esempio in Italia ha comportato un dissanguamento in termini di competenze artigianali e manifatturiere – non bisognerà stupirsi se presto queste nazioni primeggeranno anche in settori strategici di alta tecnologia e ricerca avanzata.
Già oggi ci sono chiari segnali. Solo per fare un esempio, Stati Uniti e Germania sono ancora in testa alla classifica dei brevetti assegnati per nazionalità del proponente dall’European Patent Office, ma mentre il loro numero di brevetti per anno è più o meno stabile dal 2005, la Cina – seppure per ora con numeri modesti – ha più che decuplicato i suoi nello stesso periodo (da 80 a 1186). E non è solo questione di supremazia tecnologica. Disporre di più giovani con formazione scientifica significa anche rafforzare la società, renderla più pronta a rispondere alle sfide sempre più globali che ci aspettano, più consapevole e meno credulona, più capace di giudicare, più attenta all’ambiente. Più democratica, in poche parole. Anche per questo l’Unione Europea ha lanciato in Horizon 2020 il programma “Science with and for society” per aumentare il reclutamento di studenti di materie scientifiche.
Queste tendenze globali ci devono anche far riflettere a livello locale. L’Italia è giustamente orgogliosa della sua cucina, del suo cibo, della moda, del design, del suo passato. Ma, non dimentichiamolo, è anche il paese di Galileo e Leonardo, di Enrico Fermi e Guglielmo Marconi, di Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini. La ripartenza della nostra economia, e soprattutto la sua sostenibilità, non potrà fare a meno di scienza e tecnologia “made in Italy”.