Andrea Alù, 36 anni, è ricercatore ad Austin nell'ambito delle tecnologie innovative, dalla difesa alla comunicazione, dalla meta-materia ai fotoni. E' il primo italiano a vincere il riconoscimento Alan T. Waterman 2015, tra i più prestigiosi del settore. "Qui negli States, se sei bravo, guadagni bene e cresci in fretta"
“E’ sorprendente il grado di fiducia e indipendenza dato ai giovani ricercatori qui negli Stati Uniti”. Andrea Alù ha 36 anni, è nato a Roma e oggi ha un milione di dollari in tasca. La sua storia accademica e la passione per la ricerca l’hanno portato dall’altra parte del mondo, all’Università del Texas, ad Austin. Lo scorso 5 maggio Andrea ha ricevuto presso il Dipartimento di Stato a Washington il premio Alan T. Waterman 2015 consegnato dalla National Science Foundation: un milione di dollari per un singolo ricercatore negli Stati Uniti da spendere per progetti di ricerca in diversi campi, e uno dei riconoscimenti scientifici più prestigiosi del settore. È la prima volta per un italiano, la prima anche per un ricercatore del Texas, e la quarta per un ingegnere in 40 anni di storia.
La passione per il suo lavoro viene da lontano. “Sono stato sempre affascinato dalla natura e dal suo funzionamento. In Italia mi sono specializzato in elettromagnetismo, concentrandomi sulle interazioni della materia con la luce e le onde elettromagnetiche – spiega Andrea – Da lì sono nati i progetti per creare materiali artificiali che producono interazioni speciali con la luce, consentendo avanzamenti tecnologici importanti”.
Andrea finora ha pubblicato oltre 300 articoli sulle più prestigiose riviste scientifiche, (inclusi recenti lavori sulla prima pagina di Science e su Nature), 23 capitoli di libri, 450 atti di convegni, oltre 10mila citazioni. E’ conosciuto in tutto il mondo per le sue ricerche nel campo delle tecnologie innovative, dalla difesa alla comunicazione, dalla meta-materia ai fotoni. E i risultati sono sorprendenti: come il mantello invisibile, uno strato ultrasottile chiamato metascreen capace di nascondere oggetti tridimensionali, realizzato da Alù e dal suo staff e pubblicato sulle più prestigiose riviste scientifiche.
Nel 2007 è arrivato il dottorato in elettronica biomedica, elettromagnetismo e telecomunicazioni all’Università Roma Tre. Ma perché lasciare l’Italia? “Già dal 2002 – dice – avevo cominciato a frequentare gli Usa per motivi di ricerca, e dopo il dottorato ho visto che negli Stati Uniti le opportunità erano molto migliori”. Poi, nel 2009, diventa professore associato nel Dipartimento di ingegneria elettrica ed informatica all’Università del Texas, ad Austin ed entra nel gruppo di Networking & Communications Wireless, un laboratorio interamente dedicato alla ricerca sulla comunicazione. “Sono diventato docente in una delle università più quotate in ingegneria. Il sistema americano ha immediatamente investito sui nostri progetti, mettendomi a disposizione tutti gli strumenti per avere il massimo successo. Mantengo ancora un buon rapporto di collaborazione con l’Italia, ma le opportunità offerte negli Usa sono state uniche”.
Insomma, il messaggio è chiaro: con il trasferimento all’estero cambia tutto, dalla qualità della vita al lavoro accademico. “Ad Austin la qualità della vita è ottima, il livello dell’università pure. È difficile trovare una combinazione simile altrove”.
Le differenze tra Usa e Italia sono tante. A partire dalla responsabilità e dal riconoscimento della preparazione di un ricercatore che negli States permette di “guadagnare bene e crescere in fretta”. Poi c’è l’indipendenza della carriera accademica. “Appena assunti si riceve uno startup fund sostanziale con cui cominciare a costruire un gruppo di ricerca e produrre risultati che consentano di ricevere finanziamenti esterni”, prosegue. “Tante possibilità anche di finanziamenti governativi e privati, e non esistono barriere politiche o di età per ottenerli. Finora ho ricevuto diversi milioni di dollari di fondi per sviluppare le mie idee di ricerca di base. Pensando che non ho studiato qui, e che ero immigrato da poco, è davvero sorprendente quanta fiducia si dia a giovani ricercatori. E normalmente questa fiducia viene ripagata”.
Tornare? Per il momento no. Perché “non credo ci sia posto migliore degli Stati Uniti per me. Ma chissà che in futuro non ci siano opportunità interessanti anche altrove”. Prima di lasciarci, Andrea spiega come spenderà i soldi vinti al premio Waterman. “Il finanziamento è assolutamente senza strings attached. Cioè posso investirlo come voglio. È un’ottima opportunità per esplorare le idee più innovative e ad alto rischio che abbiamo, senza dover necessariamente riportare risultati nel breve termine”.