Qualcuno avrebbe dovuto regalare alla famiglia Casamonica il cofanetto con la serie televisiva dei Sopranos, per spiegarle che fare tutto sto’ casino per un funerale è cinema Anni 70. E che già nei successivi 90 il clan di Tony Soprano picchia, ammazza, estorce, corrompe ma con un profilo così basso che quando i vicini di villa ficcanaso (e un po’ pariolini, anche se siamo nel New Jersey) rompono un po’ troppo con domande sul Padrino, lui li sfotte chiedendogli di custodire un pacco misterioso, in realtà riempito di sabbia e non di cocaina o di ossa umane.
Del resto, la regola numero uno dei Bravi ragazzi di Scorsese era: non tradire gli amici e tieni il becco chiuso. Quelli ai funerali ci mandavano le donne e i bambini e non l’intera gang in ghingheri, così che tutte le polizie potessero filmarli di fronte e di profilo. Da ciò che si è visto l’altro giorno al Tuscolano, I Casamonicas potrebbe essere al massimo un cinepanettone con Massimo Boldi nella parte del parroco cacasotto e Christian De Sica sull’elicottero che sparge petali di rose mentre tenta di farsi la nipotina del boss (assente giustificato il mitico Bombolo con il suo campionario di peti).
Purtroppo, questi sono i tempi e l’Italia che si è fatta onore nel mondo trasformando il disonore mafioso nel più formidabile apparato drammaturgico e scenografico dopo la tragedia greca e Shakespeare, si ritrova con la processione superburina di Rolls e di Suv, ma soprattutto con la più desolante parata di comprimari e comparsate degna di un B-movie girato a Zagarolo. Prendiamo i politici a libro paga che nel Padrino 2 (per restare sul classico) hanno il loro archetipo nel senatore ipocrita e affarista “Pat” Geary, mentre i Casamonica devono accontentarsi di un figlio der Pinguino e della foto di un adepto in sovrappeso beccato con Buzzi in una squallida cena elettorale.
Almeno, a Michael Corleone veniva risparmiato il pigolio molesto del ministro Alfano costantemente disinformato sui fatti che chiede una relazione al prefetto Gabrielli all’oscuro di tutto. Così come il sindaco Marino “in ferie negli States”, particolare ininfluente visto che nelle vignette più perfide sui traffici di mazzette nella Capitale, “er cecato” sembra più lui di Carminati. Poi c’è Matteo Orfini che parla di “sfregio alla città”, ma chissà se qualche intrinseco del compianto don Vittorio era iscritto a uno dei circoli “dannosi” del Pd censiti da Fabrizio Barca. Ha però ragione da vendere Orfini quando rimbecca Maroni che gli fa la morale, lui alleato della famelica banda Alemanno, e manca poco che romanamente gli dica che ha la faccia come il culo.
Restando nel vernacolo, che sulla vicenda Casamonica il più pulito c’ha la rogna è abbastanza palese considerando che l’attività prevalente del clan è l’usura è che restituire i soldi a strozzo, e con quegli interessi stellari non è proprio così agevole, se poi si tiene conto della poco simpatica abitudine dei cravattari di “corcare di botte”, inadempienti e ritardatari. In una città così strozzata e intimidita può capitare che al prete celebrante convenga fingersi anche lui “cecato” per non vedere i manifesti con il boss di bianco vestito come il papa buono, affissi sui muri della chiesa di San Giovanni Bosco. Senza contare la gloriosa, gaudiosa e danarosa tradizione del clero capitolino che riservò una cripta nella basilica di Sant’Apollinare al caro boss De Pedis. Ma negò, guarda caso nella stessa chiesa del Tuscolano, i funerali religiosi a Piergiorgio Welby, simbolo della lotta per l’eutanasia ma privo evidentemente delle entrature celesti concesse agli strozzini. E anche se non apparteneva alla Banda della Magliana, l’appassionato trombettiere che omaggiava il feretro sulle note di Nino Rota, forse bisogna capirlo con la crisi che galoppa e, signora mia, non si riesce più ad arrivare alla fine del mese.
Avranno sicuramente i loro problemi anche i vigili urbani che scortavano la salma e chissà quante bocche da sfamare ha chi ha consentito all’elicottero di volare, senza permesso alcuno, sopra un popoloso quartiere. Insomma, se la Capitale tutta avesse voluto dedicare al benefattore Casamonica una degna corona di fiori, avrebbe dovuto scriverci sopra: “Tengo famiglia”. No, non è affatto una città misteriosa, è tutto chiaro, basta saper leggere bene. Come nel caso della raccomandata del signor Ginori che non vuole più la festa del Fatto sull’Isola Tiberina se insisteremo (come insisteremo) nella pubblica lettura delle intercettazioni di Mafia Capitale. Una città che non vede, non sente e non parla. E ve la prendete con i Casamonica?
il Fatto Quotidiano 22 agosto 2015