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Chissà se l’amato leader ha apprezzato il soccorso dei tifosi benestanti che ieri hanno comprato una pagina del Corriere della Sera per gridare: “Noi continuiamo a sostenere Matteo Renzi!”. Per quanto sappiamo del personaggio, potrebbe anche essersi toccato. Quel “noi continuiamo” insinua l’idea che altri si stiano ingufendo e ribersanizzando. E poi: “Sarebbe un danno enorme se questo governo non proseguisse la sua azione”, al lettore suggerisce che il regime pencoli, mentre a Rignano avrà probabilmente indotto il villeggiante a più d’una grattata intima.

Come tutti i potenti, anche Renzi dovrà imparare a guardarsi dagli eccessi di cortigiani, aspiranti tali o entusiasti semplici. Quasi sempre i loro slanci finiscono per risultare controproducenti. Se l’appello all’amato a opporsi “con determinazione ai professionisti del no” appare superfluo, quello a “impostare una strategia di comunicazione continuativa” suona addirittura sarcastico. Certo, non umoristico quanto l’appello agli altri renziani d’Italia “a manifestarsi pubblicamente”, come se vivessero nelle catacombe, impauriti dalla violenza dei bersaniani. Ma quando mai. #Renzianoriccostaisereno: sono già fuori da tempo, sgomitanti per lodare il capo con ogni mezzo di terra, di mare e di cielo: giornali, social network, talk show.

I renziani di complemento sono fatti così. Magari prima erano bersaniani e prima ancora dalemiani o berlusconiani (fa istess…). Il loro imperativo categorico è uscire dalla merchant bank milanese con pavimento ligneo e correre in soccorso del vincitore. Il modello culturale è “Mussolini (o Stalin, fa istess…) dovrebbe essere più duro con oppositori e disfattisti”. Chissà sotto quale ombrellone o su quale barca è nata l’idea agostana di rinnovare l’originale Noi sosteniamo Matteo Renzi dell’ottobre 2014, sempre sul Corriere. Allora erano un centinaio (ieri oltre 200, #matteostaisereno non ti stanno abbandonando). Preoccupati dal “muro di silenzio che ha avvolto il Presidente del Consiglio” (sì, hanno scritto questo), decisero di scendere in campo. Ci fecero sapere che vedendo “l’Italia sul limite di un baratro” si sentivano rassicurati dalla presenza di colui che ci governava “con il cipiglio di una volontà giovanile”. Peccato che nessuno tra i pur numerosi firmatari fiorentini abbia telefonato a una qualsiasi istituzione culturale cittadina (tipo l’Accademia della Crusca o la Fondazione Big Bang) per farsi spiegare la differenza tra piglio e cipiglio. Ma fa istess…

L’anno scorso i soccorritori del premier incasinato dalla legge di stabilità si definivano “semplici italiani”, a dispetto di complicati cognomi quali Ferrari de Grado, Papi Rossi, Pecori Giraldi, du Chene de Vere, Caccia Dominioni, Lalatta Costerbosa e Biscaretti di Ruffia. Quest’anno i “continuatori” vedono sempre presente la nobiltà toscana, con Gaddo della Gherardesca che affianca Vannozza Guicciardini, ma la parte del leone la fa la borghesia degli affari milanesi, quel mondo di avvocati, manager di banca e dirigenti d’azienda abituati a gestire, ma anche a costruire e distruggere, ricchezze non loro. Insomma, è quel mondo di mezzo (diciamo mezzo-alto) che sta tra i veri ricchi e il resto dell’umanità. Loro però continuano a dirsi “semplici cittadini”. Così semplici da credere che Renzi abbia davvero riformato la scuola e l’abbia resa migliore.

Dal Fatto Quotidiano del 23 agosto 2015 

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